01/06/10

Il portiere di notte

Film di indubbia fascinazione che evoca echi viscontiani per la decadenza insita nelle atmosfere e per il senso di morte che in esso si avverte inevitabilmente, per l'impiego della musica come motore e tema di fondo di ricordi che hanno il sapore e l'impronta di scene teatrali, quasi operistiche, in cui i protagonisti sono come manichini che si muovono e accompagnano in ambiti di perversione ed erotismo da cui scaturisce l'ambiguo rapporto tra Max (Dirk Bogarde) e Lucia (Charlotte Rampling), in cui l'androginia sessuale di quest'ultima acuisce la sua fascinazione e la morbosità di un rapporto che trascende, seppur sfruttandolo volutamente, il rapporto vittima carnefice.
Film che ha creato un immaginario erotico poi sfruttato e abusato da un cinema interessato alla mera rappresentazione di un porno soft, che ha pescato a piene mani da un'iconografia erotica disturbante quale quella del nazismo, perdendo i connotati di riflessione e analisi tentata dalla regista, che presenta un personaggio ambiguo, che pare disinteressarsi del proprio passato per rivivere sensazioni ed emozioni che trascendono il contesto storico cui gli stessi appartengono, ma per questo incompresi e non accettabili dai suoi ex commilitoni e destinati alla sconfitta e alla morte inevitabile.
Il personaggio di Max rievoca anche, conseguentemente e credo volutamente la figura de Il servo di Losey, come si evince dalle inquadrature iniziali e dai modi dello stesso protagonista, che ancora una volta pare incarnarne l'immagine per poi distanziarsene ed immergersi in un contesto narrativo ammantato di morte e teatralità, richiamata dai luoghi stessi in cui si aggirano e riconoscono i due amanti.
Max è egli stesso oggetto algido di desiderio e di fascinazione, che perde infine la propria distanza affettiva e umana nel momento in cui ritrova Lucia, reinstaurando un gioco al massacro non voluto, imposto da coloro che vorrebbero superare un apparente senso di colpa, smentito dalla fierezza con cui si fanno ancora portatori dei propri ideali di guerra e di razza, nonché di adesione sociale, ruoli che Max rifugge, vivendo, come da sue dichiarazioni, come una talpa che evita la luce per poi definitivamente rivestire nuovamente quei panni dismessi, quale abito di morte da rappresentarsi su una scena chiamata vita e non più storia.

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