Il bacio della pantera è un’opera satura di psicosi sessuali, dove l’atto primo dell’amore tra un uomo e una donna viene negato per tutto l’arco del racconto, quale gesto foriero di sventura e morte. Irina (Simone Simon) è descritta come la vittima presunta di una maledizione, che le impedisce, in questo caso, d’amare ed essere amata, se non per il suo essere donna dal fascino felino, cui i personaggi maschili non riescono a sottrarsi. Il binomio donna/gatto/pantera è costantemente richiamato da ogni elemento d’arredo della casa d’Irina, in un costante equilibrio d’attrazione e repulsione verso il suddetto animale, definito dal custode stesso dello zoo, come “la bestia” citata nell’Apocalisse di Giovanni. Tourneur allude insistentemente alla natura animale della protagonista, sviluppando una crescente tensione riguardo alla sua possibile metamorfosi felina, lasciando però al fuori campo e alle ombre della notte il compito di crearne la suggestione auditiva e visiva. La fotografia di Musuraca in questo caso è perfetta nel dosare i chiaroscuri e le silhouettes, sottintendendo ad una presenza bestiale nascosta nell’ombra della notte.
Il dottor Judd invece, è l’incarnazione della razionalità contrapposta alla superstizione, destinato però all’annientamento, nonostante che nei sogni della protagonista impersoni la figura del condottiero Re Giovanni, il padre della patria vincitore del leggendario popolo felino cui Irina teme di appartenere, icona che campeggia come statua equestre nella casa della protagonista. Nel suo compito di ricercare una giustificazione alle fobie d’Irina, lo psicanalista cade però vittima del suo fascino di “gattina indifesa”, violando il tabù sessuale del bacio proibito, per risvegliarne definitivamente la natura diabolica, manifestata da un gioco d’ombre che paiono trasformare il viso della protagonista e proiettare sulle pareti della stanza la sagoma scura e minacciosa della pantera.
È proprio attraverso l’abbandono alle pulsioni umane dei sentimenti, che Irina ridesta la propria indole sopita, rappresentata allegoricamente dalla pantera ingabbiata, cui essa tende nell’anelito impellente d’affrancarla per, come giustamente osserva il dottor Judd, svincolare le sue tendenze devastatrici.
Irina in quanto donna, ha una duplice natura che viene materialmente palesata nella mutazione felina, fisica e trascendente. Da vittima diviene cacciatrice, da donna da amare diviene creatura verso cui provare una calda attrazione, come solo si può nutrire per un animale. Essa fino all’ultimo istante ricerca invano un’attenzione ed un sentimento, che l’amato Oliver (Ken Smith) non le può offrire e che seppur paia trovare nel dottor Judd, esso è destinato a non poter essere consumato neppure nell’atto fisico più imprescindibile. Un’allegoria dell’amore impossibile e della fascinazione perversa dell’animo femminile, dove eros e thanatos si mescolano inderogabilmente l’uno coll’altro, in un clima di tensione crescente tipico del cinema horror lewtoniano. Un evidente esempio di cinema fantastico basato sulla reticenza della visione, in cui sono gli spazi occlusi e geometrici a restituirci la sensazione di una prigione, nei cui meandri oscuri si aggira l’orrore ineffabile della nostra anima e dei mostri che la popolano.
Il dottor Judd invece, è l’incarnazione della razionalità contrapposta alla superstizione, destinato però all’annientamento, nonostante che nei sogni della protagonista impersoni la figura del condottiero Re Giovanni, il padre della patria vincitore del leggendario popolo felino cui Irina teme di appartenere, icona che campeggia come statua equestre nella casa della protagonista. Nel suo compito di ricercare una giustificazione alle fobie d’Irina, lo psicanalista cade però vittima del suo fascino di “gattina indifesa”, violando il tabù sessuale del bacio proibito, per risvegliarne definitivamente la natura diabolica, manifestata da un gioco d’ombre che paiono trasformare il viso della protagonista e proiettare sulle pareti della stanza la sagoma scura e minacciosa della pantera.
È proprio attraverso l’abbandono alle pulsioni umane dei sentimenti, che Irina ridesta la propria indole sopita, rappresentata allegoricamente dalla pantera ingabbiata, cui essa tende nell’anelito impellente d’affrancarla per, come giustamente osserva il dottor Judd, svincolare le sue tendenze devastatrici.
Irina in quanto donna, ha una duplice natura che viene materialmente palesata nella mutazione felina, fisica e trascendente. Da vittima diviene cacciatrice, da donna da amare diviene creatura verso cui provare una calda attrazione, come solo si può nutrire per un animale. Essa fino all’ultimo istante ricerca invano un’attenzione ed un sentimento, che l’amato Oliver (Ken Smith) non le può offrire e che seppur paia trovare nel dottor Judd, esso è destinato a non poter essere consumato neppure nell’atto fisico più imprescindibile. Un’allegoria dell’amore impossibile e della fascinazione perversa dell’animo femminile, dove eros e thanatos si mescolano inderogabilmente l’uno coll’altro, in un clima di tensione crescente tipico del cinema horror lewtoniano. Un evidente esempio di cinema fantastico basato sulla reticenza della visione, in cui sono gli spazi occlusi e geometrici a restituirci la sensazione di una prigione, nei cui meandri oscuri si aggira l’orrore ineffabile della nostra anima e dei mostri che la popolano.
2 commenti:
è sempre un piacere leggere le tue recensioni.
grazie, gentilissima e lieto di donarti tale piacere... :-)
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