11/01/12

Il Gatto con gli stivali

Alla luce del successo ottenuto dal personaggio del Gatto con gli stivali all’interno della fortunata sagra di Shrek, il nostro beneamato felino, astuto, agile nonché mirabile spadaccino, pronto ad intenerire l’avversario con i suoi occhioni dolci, che ne hanno  costruito la fortuna cinematografica, diviene qui protagonista assoluto di un racconto che cerca di spiegarcene le origini, per quanto come nel caso di Shrek, lo spunto di partenza della favola venga stravolto per conferire allo stesso una lettura in chiave dissacrante e ironica.
Il Gatto con gli stivali rappresenta lo spin off della serie dell’orco Shrek, saga cinematografica in grado di offrire una rivisitazione postmoderna del mondo delle favole, spinta alle estreme conseguenze, mettendo in gioco un meccanismo citazionista di facile presa, ma anche piuttosto raffinato e divertente, regalando al pubblico un prodotto efficace e funzionale, ma che nel presente caso non sembra riuscire a ricalcare alla stessa maniera, almeno negli intenti dei produttori. Perché se Shrek, pur essendo un personaggio amabile e amato dai bambini, ma soprattutto pensato per un pubblico adulto, in quanto perfetto antieroe politicamente scorretto, attorniato da personaggi specchio di figure sociali ed umane riconoscibili, atte a far ridere e pensare il pubblico in sala, nonché antitesi del principe azzurro, quest’ultimo visto come personaggio vanesio e malvagio, il Gatto con gli stivali ne è invece una pallida imitazione, non del tutto riuscita almeno nel tentativo di dissacrare quel mondo fiabesco già messo in scena da Shrek
La verve picaresca del personaggio, che all’interno della saga dell’orco verde rivestiva un proprio ruolo dissacrante e dissacratorio, qui è avvertibile solo in alcuni spunti iniziali del film, dove vengono sottolineate le caratteristiche più buffe e malandrine del personaggio, quale amatore e ladro spadaccino in cerca di riscatto sociale, contrapposto a figure umane grette ed esteticamente poco accattivanti. Ma la Disney ci mette lo zampino, indirizzando progressivamente la storia verso una morale di fondo piuttosto sdolcinata, dimostrando come il racconto sia stato adattato per un pubblico prevalentemente infantile, aspetto che di per sé non sarebbe negativo, se non si avesse come riferimento il Gatto con gli stivali visto nei film di Shrek.
Il Gatto protagonista di questa vicenda è un felino dagli artigli spuntati, nient’affatto in grado di graffiare il pubblico come ci si aspetterebbe, riducendosi ad un eroe moralizzatore, spinto da ideali di lealtà e amicizia, che non si discutono per se stessi, ma per il modo in cui vengono rappresentati ovvero sminuendo la carica eversiva del personaggio, che avrebbe potuto offrire momenti di divertimento, anche qui politicamente scorretto e dissacrante, riuscendo comunque a far passare un messaggio positivo, ma il tutto appare piuttosto banale e nonostante la brevità del film sembra dilungarsi inutilmente, nonostante gli ammiccamenti iniziali del personaggio che parevano offrire buone speranze all’esito finale del prodotto. Anche il personaggio di Humpty Dumpty figura affascinante della letteratura inglese, ricorrente nell’immaginario comune, viene ridotto ad un personaggio poco incisivo per quanto importante per lo sviluppo del racconto, che perde ogni carica potenziale di personaggio ambiguo e affascinante, frutto di elucubrazioni per gli stessi linguisti, divenendo l’oggetto e strumento per  inculcare nel pubblico infantile il messaggio moralizzatore di fondo.
Un’occasione perduta per vedere all’opera gli autori di Shrek alle prese con un personaggio potenzialmente scorretto come quello dell’orco, che diventa un gattino mansueto, addomesticato per l’occasione e forse pronto a tornare nuovamente su questi schermi. Rimane comunque apprezzabile il fatto che Antonio Banderas, voce dell’originale Gatto con gli stivali si sia prestato a doppiare il film anche per il mercato italiano, conferendo almeno credibilità e veridicità all’accento spagnolo del personaggio animato, unica nota positiva in un contesto alla fine lievemente stonato.

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