Questo è il genere di film che nelle mani di Burton avrebbe potuto essere un gradevolissimo ritratto sarcastico e grottesco sul tema del suicidio, che in Italia, nonostante tutto, ha suscitato sterili ed inutili polemiche.
Leconte propone un racconto che se inizialmente pare avere dalla sua tutti gli elementi necessari per suggerire un sorriso divertito e apotropaico di fronte ad un tema così delicato, dimostrando di poterlo affrontare con la dovuta intelligenza del caso, poi devia verso una esaltazione della vita, che viene narrata in maniera decisamente retorica e difficilmente sopportabile, a causa di un protagonista che banalizza il racconto di partenza.
Peccato assistere a simile risultato, viste le buone premesse ed un tratto adeguato al racconto, che vengono sprecati da una scrittura lacunosa e banalizzante che trasforma il tutto in una storia piatta e decisamente troppo musicale, dove il trionfo della vita, si presenta stucchevole e per assurdo non condivisibile, per le modalitù almeno con cui viene raccontato.
Sicuramente Burton avrebbe saputo divertirci e divertirsi alle prese con la morte e con personaggi così stravaganti, ma per questo occorre rivolgersi al suo Frankenweenie.
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