05/09/13

We Want Sex

Il cinema di Ken Loach ha purtroppo col tempo dato la stura a epigoni non all'altezza dell'originale, che nel loro tentativo di emulazione di una formula collaudata capace di raccontare il mondo dei lavoratori con leggerezza, senza far venir meno il rispetto e l'acume di sguardo verso situazioni drammatiche, hanno ritenuto opportuno riutilzzare tale formula a proprio piacimento e creare commedie che alla lunga si sono dimostrate piuttosto semplicistiche nel raccontare situazioni, che il più delle volte hanno un fondamento storico e reale.
E' il caso del qui presente We Want Sex ammiccante sin dal titolo, gradevole nella sua ricostruzione di una working class pronta a lottare con intelligenza ed ironia per ottenere risultati che nel corso della vicenda sembreranno non essere così scontati, con inevitabili ripercussioni sui contesti familiari dei protagonisti.
Il regista e gli sceneggiatori decidono di rielaborare una storia vera ma con i dovuti accorgimenti del caso, necessari a creare un racconto che scivoli via fluido, con una protagonista ad hoc eroina per caso, ma non troppo, che si ritroverà a dover lottare per la parità di salario delle sue colleghe contro il gigante americano della Ford.
Il tutto viene però messo in scena con una serie di stereotipi umani e di situazioni, che sanno di già visto e che debbono rassicurare lo spettatore anche quando i momenti si fanno fortemente drammatici, attraverso la vicenda personale di una delle compagne di fabbrica.
We Want Sex nel mettere in scena simili schemi narrativi dimostra come furbescamente intenda riproporre una strategia di rappresentazione scenica e drammaturgica che strizza troppo facilmente l'occhio allo spettatore, che ama essere rassicurato da simili storie in cui vengono mescolati ingredienti di comprovato successo, come gli affetti frustrati e la lotta tra i sessi, che altrove nel cinema hanno saputo trovare migliore rappresentazione.
We Want Sex accompagna lo spettatore e la sua protagonista verso un finale rassicurante e socialmente accettabile, con didascalie ed immagini di repertorio che ne confermano la bontà d'intenti, peccato che di lì a pochi anni sarebbe arrivata la Thatcher che avrebbe spazzato via molti di quegli edulcorati sorrisi che certo cinema furbetto ogni tanto tenta di propinarci.

28/08/13

Django Unchained

Tarantino dopo la viscerale ucronia di Inglorius Basterds si immerge nel genere cinematografico per eccellenza del cinema americano, ovvero il Western, ma lo fa strizzando l'occhio al nostro Spaghetti Western sin dal titolo, in cui evidenti sono anche i riferimenti alla Blaxpoitation e alla volontà dell'autore di affermarne una rivalutazione, con buona pace di quegli appartenenti a quel filone che mai hanno amato questa definizione per il loro genere di cinema all black.
Tarantino compie anche un azzardo nei confronti del problema razziale regalando a Waltz un ruolo di pieno e completo riscatto rispetto a quello da lui precedentemente rivestito in Inglorius Basterds e consentendo a Jamie Foxx di indovinare un film capace di fargli risalire la china di un successo appannato da alcune prestazioni non all'altezza dei suoi precedenti e più fortunati ruoli cinematografici, anche se in confronto agli altri protagonisti, Django sembra costituire un personaggio, una maschera nelle mani del regista demiurgo, necessaria per raccontare una storia di riscatto sociale ed umano, possibile solo attraverso gli apparenti comprimari.
Il western di Tarantino a parte un inizio in cui ci mette del suo come sempre nel tratteggiare in maniera grottesca i suoi personaggi, ammantandoli di un'aura al limite tra il ridicolo e l'eroico, procede con calma e circospezione nel suo percorso di avvicinamento a quel pathos e a quell'azione sanguinaria che costituiranno il climax del film e questo grazie anche ad un sempre ottimo, ma non riconosciuto, Di Caprio e uno straordinario Samuel L. Jackson che rischia di rubare la scena ai suoi protagonisti, i quali alimentano il fuoco della tensione narrativa intorno alla quale ci accorge come il regista sia riuscito a costruire questa sua nuova opera.
Nel rivedere questo suo lavoro, ci si accorge della metodica elaborazione di un percorso narrativo, in cui il montaggio, ancora una volta costituisce uno strumento indispensabile per sottolineare dettagli ed atmosfere che la m.d.p. del regista cattura ed inquadra meticolosamente, sino alla conclusione di un racconto dal respiro ampio, nonostante l'apparente cerebralità di cui è intriso.