19/07/12

Codice omicidio 187

Il genere "scuola violenta" difficilmente è scevro da stereotipi e pregiudizi, spesso frutto di sceneggiature che hanno generato prodotti scadenti o quantomeno discutibili per i loro messaggi di fondo. In questo caso il film di Reynolds aspira a discostarsi dagli epigoni basati su visioni sociologiche semplicistiche, in cui l’insegnante o il preside di turno reagiscono fascisticamente ad una violenza, che il sistema scolastico pare non essere in grado di contenere per una serie di motivi più o meno burocratici e/o psicologici. 
L’elemento distintivo di Codice omicidio 187 è forse il tentativo di fornire al protagonista una dimensione psicologica che lo caratterizzi appieno, mostrandoci le ragioni del suo agire all’interno del contesto scolastico in cui si aggira.
Il professore, interpretato da Samuel L. Jackson, dimostra subito dal suo arrivo nella nuova scuola quali siano i turbamenti che attanagliano la sua mente e che gli rendono arduo il relazionarsi con altri suoi colleghi. Due in particolare divengono gli emblemi di approcci differenti all’insegnamento nei confronti di alunni apparentemente incapaci di emergere dalla propria condizione di disagio sociale e con cui il protagonista si ritrova a confronto, rappresentando un’anomalia per un sistema che richiede figure ben definite ed incasellabili.
Samuel L. Jackson, con il procedere del racconto, viene rappresentato come una sorta di terza via dell’insegnamento, da cui traspaiono ancora barlumi di una passione apparentemente svanita a suo dire, che però rischiano di contraddirsi con l’evolversi della vicenda.
Reynolds, infatti, sembra mettere in scena più opzioni narrative con risvolti potenziali in capo alla figura del nostro beneamato professore, gettando luci ed ombre che potrebbero confondere lo spettatore sino ad ottenere un esito ambiguo, quale frutto di una scrittura incerta e incoerente.
Il regista, infatti, insinua più di un dubbio sulle azioni del protagonista, che seppur lo rendano figura intrigante e non banale nel suo approccio alla violenza studentesca, senza incappare in una vendetta programmatica e roboante, quale reazione al suo fallimento educativo verso gli alunni più refrattari all’apprendimento, nel finale diviene preda di una drammaturgia stridente con i toni sfumati mantenuti sino a quel momento.
Si insinua così la sensazione di un prodotto che, pur tentando di rifuggire rappresentazioni semplicistiche di un contesto sociale ben definito e già visto più volte, si perde nelle pieghe di una morale deteriore del male che il film vorrebbe raccontare, annegando in una retorica da cui il protagonista, con la sua recitazione, sembrava essere riuscito a mantenere le distanze.

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