04/04/11

La fine è il mio inizio

Occorre premettere che chi scrive non ha letto il libro di Tiziano Terzani e in merito al fenomeno letterario non vi si è mai avvicinato e chissà se vi si avvicinerà. 
Pertanto, quanto segue sono semplici considerazioni da un punto di vista filmico del prodotto-film La fine è il mio inizio ed eventuali considerazioni sull'uomo Terzani sono legate al punto di vista sopracitato e ad una riflessione mediatica dell'immagine e dell'immaginario scaturito dal fu giornalista.
Ebbene, La fine è il mio inizio, come i più sapranno è la trasposizione per immagini dell'ultimo libro testamento di Tiziano Terzani, che in prossimità della propria morte ha invitato il proprio figlio Folco a raccoglierne riflessioni, pensieri e considerazioni sulla propria fine vita e sul suo lavoro, sulle proprie esperienze di uomo e giornalista, di cui sarebbe interessante recuperare i libri-reportage che emergono dai ricordi narrati nel film stesso.
Opera che si pone come anomalia cinematografica, come prodotto controcorrente rispetto all'idea di un film memoriale e agiografico  scontato e banale, infarcito di chissà quali immagini o ricordi di cui si sarebbe potuto abbellire. 
Eppure questa scelta, conforme forse allo stile e all'idea del personaggio e di chi ne conserva la memoria, appare ad uno spettatore non vicino ai suoi scritti come un'opera difficile da definire e sorge spontaneo domandarsi il perché di questa operazione, visto che il cinema è spesso costretto a ridurre, adattare ciò che sulla pagina scritta ha trovato un suo ben definito spazio e per un libro come questo che non è un romanzo, l'adattamento cinematografico in sé costituisce un medium inadeguato a trasporne completamente il pensiero e l'idea.
Per coloro che hanno letto il libro potrà sicuramente rappresentare un'ulteriore conferma di quanto riscontrato con ardore e trasporto nelle pagine del libro e quindi una conferma della propria scelta di vedere confermata per immagini una trasposizione di quella figura tanto amata e diciamolo pure, senza toni polemici, anche venerata.
Per chi invece non ha letto il testo di riferimento non può che ritrovarsi di fronte ad un'opera statica per il tipo di narrazione a cui si ispira, trasmettendo l'impressione di un film che cinema non è, se non negli intermezzi quotidiani in cui padre e figlio non sono presi dai semplici ricordi e dal lavoro di raccolta di memorie e pensieri di cui Terzani sentiva il bisogno di dover parlare con il proprio figlio.
Scelta narrativa quella del regista tedesco, forse dettata dai costi produttivi, più che stilistica in sé e per sé, ma che lascia un'impressione di immobilità narrativa che non avvince uno spettatore non avvezzo e non completamente conoscitore del Terzani-pensiero, cui ci si dovrebbe accostare sicuramente attraverso i libri e non attraverso quest'opera che costituisce un prodotto derivativo. 
Il film, infatti, oggigiorno costituisce l'appendice inevitabile di ogni fenomeno letterario di successo, ma non tutti possono prestarsi alla stessa operazione di traduzione per immagini e questo film ne è un chiaro esempio, almeno per chi scrive. Non si dubita della buona volontà dei familiari che hanno visto in esso un'occasione ulteriore per rafforzare il ricordo del proprio caro, ma dispiace constatare che questo film non riesca a suscitare quella fascinazione che molti lettori hanno subito per tale personaggio.
Bruno Ganz è comunque bravo e professionale nello svolgere il proprio compito, riuscendo ad essere credibile e somigliante al Terzani degli ultimi anni, mentre Elio Germano sembra non riuscire a trasmettere quell'inquietudine e quell'approccio che ci si aspetterebbe di fronte ad un padre così ingombrante e morente, ma questo perché siamo di fronte ad un film e non ad un documentario e il pathos appare comunque necessario ed è inevitabile aspettarselo da una figura filiale che sembra invece mantenere sempre lo stesso stabile e statico tono ed espressione, anche nei momenti di apparente rabbia. 
Il tutto poi non viene adiuvato da un doppiaggio con marcato accento toscano che imprime un senso di artefazione evidente e inevitabilmente viene da pensare alla battuta di Stanis La Rochelle in Boris, la serie Tv, quando dice che i toscani hanno rovinato il cinema, con buon pace per i miei amici toscani.
La fine è il mio inizio rappresenta dunque la conferma per coloro che amano Tiziano Terzani, che il loro scrittore di riferimento ha trovato per il proprio libro un'eccellente o semplicemente fedele trasposizione, ma per uno spettatore comune invece è un'opera debole e incapace di rendere al meglio le emozioni che un film e un prodotto simile avrebbero potuto regalare, al di là della condivisione o meno delle riflessioni dello scrittore e dell'uomo, figura di riferimento per molti in un mondo alla ricerca di icone positive da contrapporre alle brutture di cui siamo circondati, sino al punto in cui il cinismo e il capitalismo non fagociteranno anche ciò che di buono lo scrittore ha saputo trasmetterci o almeno ci ha provato, attraverso le sue pagine e non di certo grazie a queste poco incisive immagini.

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