Vi è un'immagine emblematica della vicenda del protagonista Vince Vaughn e della sua condizione di discesa verso un progressivo senso di perdita dell'orientamento, all'interno della propria vita e di quelle delle persone che lo circondano, di cui vorrebbe riuscire a mettere insieme i pezzi come in un quadro ben definito, ed è il parabrezza della sua auto completamente frammentato, tenuto in piedi per miracolo e che offre alla sua soggettiva un punto di vista sulla strada e sul suo futuro decisamente destrutturato.
Ron Howard ritorna a suo modo ad un cinema che vorrebbe far sorridere e riflettere, ad una commedia in puro stile yankee, ma con velleità evidenti e superiori rispetto ad altri epigoni contemporanei.
Ebbene, il suo Il dilemma non è un film di puro divertimento e semplici risate, seppur si avvertano dei momenti di leggerezza qua e là, volti a rendere il racconto una riflessione sull'amicizia virile e sugli affetti e sulla difficoltà a mantenerli in chiave contemporanea, ma è piuttosto una meditazione con degli spunti in sottofondo drammatici, perché quello che emerge dalle esistenze di almeno tre dei suoi protagonisti non è così puro e semplice come sembra e alcune ombre si addensano con un rischio di stravolgimento del quadro generale non indifferente.
Lo stesso Vaughn, il vero e solo protagonista della vicenda messa per immagini da Howard, che si fa carico di tutta la storia, con i rischi di cui si diceva sopra di implosione della propria esistenza, non solo appare come un individuo incerto ed insicuro riguardo la propria condizione di monogamia, nel senso di impegnarsi attraverso il matrimonio con la propria attuale compagna, di cui è sicuramente innamorato, ma si ritrova anche a dubitare sulla sicurezza data dall'istituzione stessa di tale vincolo, proprio attraverso il confronto e lente di ingrandimento del rapporto coniugale dei suoi due migliori amici, apparentemente felici e probi sostenitori, almeno a parole, di una felicità senza smagliature visibili.
Il dilemma che emergerà a carico di Vaughn e che lo metterà a dura prova sulla necessità di disvelare una scomoda verità, da cui emergeranno anche altre asperità dallo stesso ignorate e al tempo stesso da lui tenute nascoste, quali segreti di un passato che emerge progressivamente come non cristallino e che lo rende personaggio meno bidimensionale di quanto voglia apparire, costituirà il filo conduttore di una storia che sembra svolgersi su più piani narrativi e con deviazioni potenziali, frutto della stessa distorsione del reale messa in atto dal protagonista, che si ritroverà a dover dipanare con notevoli difficoltà, ritrosie, rancori e rischio di veder andare in fumo il suo percorso di recupero da certe dipendenze del passato e il timore di essere egli stesso vittima di illusioni e potenziali delusioni da parte della sua stessa consorte.
Ron Howard alla fine saprà tirare le fila come si conviene della vicenda, attraverso un momento di confronto necessario e a tratti divertente, ma sempre con una punta di amarezza e timore che tutto possa veramente andare in rovina, ma l'happy ending sembra quasi dovuto e necessario, almeno in parte per i suoi protagonisti, rinsaldando quell'amicizia che costituisce il collante e il salvagente dello spirito americano e che in fondo è parte del loro ottimismo di fondo, ma forse Howard se avesse osato di più avrebbe saputo dare maggiore senso e linearità alle proprie scelte narrative, senza risultare troppo ambiguo sulle scelte imposte dalla produzione di proporre al proprio pubblico una commedia, che tanto rassicurante e divertente non sembra esserlo.
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