Il cinema di spionaggio d'azione sembra vertere sempre più verso un'umanizzazione dei suoi protagonisti, non più visti come semplici uomini duri e puri, irreprensibili ed impermeabili a qualsiasi sentimento, ma individui con emozioni e dubbi con cui fare i conti e situazioni di rischio in cui mettere in gioco se stessi e il proprio lavoro.
Per quanto il tentativo di mantenere in auge la saga di Mission Impossible venga ora sostenuta dal genietto J. J. Abrams, autore del terzo capitolo della saga che instaurava questa nuova piega narrativa, il film di Bird, avvezzo al cinema d'animazione, tenta di proseguire quel discorso, inserendovi anche della sana ironia che in parte riesce a rendere il film meno serioso e supponente e a rendere l'azione interessante per una parte del film, ma successivamente non riesce a mantenere desta l'attenzione e la tensione come ci si aspetterebbe. E' come se Mission Impossible avesse raggiunto il proprio culmine narrativo e visivo con il secondo capitolo della serie, in cui tutto veniva parossisticamente esagerato e portato alle estreme conseguenze e dopo di esso il deserto.
Non vi è nulla di sbagliato nel tentare di virare il discorso verso territori meno fracassoni e più pensati ed infatti la sequenza al Cremlino dimostra di aver appreso la lezione di temsione narrativa offertaci dall'autoriale De Palma, che nei suoi vezzi citazionistici non aveva comunque saputo rinunciare all'azione anche fine a se stessa.
Viene allora spontaneo chiedersi se questo Mission Impossible non sia piuttosto ormai il fantasma di se stesso, di un prodotto televisivo del passato in cui elemento ritornante è il suo protagonista Ethan Hunt (Tom Cruise) più umano e sensibile di quanto non lo fosse in precedenza, in lotta con nemici sempre più astuti e difficili da battere, ma forse anche ripetitivo ormai nella sua velleità di rielaborazione di situazioni limite in cui calare i propri personaggi.
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