Il nuovo film di Ozpetek ancora una volta
e, in questo caso più sentitamente di altre, disvela l’amore dell’autore per il
cinema, la fascinazione subita e trasmessa attraverso il suo protagonista per
la finzione scenica in se stessa, su cui ruota gran parte del discorso filmico
dallo stesso intrapreso in quest’opera.
Magnifica presenza è invero la magnifica
ossessione del regista per un mondo sognante e di sogno cui vorrebbe accedere
il suo protagonista, figura solitaria, incerta della propria identità sociale e
sessuale, incapace di relazionarsi con la realtà che lo circonda e che ritrova,
nel rapporto, inizialmente conflittuale poi inevitabilmente dipendente e
sfociante nella patologia psichiatrica agli occhi degli altri, con una
fantomatica compagnia teatrale del passato, la propria apparente dimensione di
appagamento, come dimostra il finale nel teatro da cui tutta la vicenda pare
trarre il proprio sviluppo metafilmico.
Un film che non sembra riuscire a
scegliere un registro ben definito, dove dramma e commedia paiono sovrapporsi
ed avvinghiarsi senza soluzione di continuità, ma con esiti non così definiti
come in altri suoi film, tanto da risultare difficile l’immedesimazione con il
protagonista, con il rischio di non riuscire a condividere appieno la
fascinazione del regista per quell’idea di cinema e di finzione di cui
continuamente pare pervadere il suo film.
Ozpetek punta sulla finzione pura, sulla
recitazione e sulle maschere del quotidiano risultando involuto e poco
convincente nella sua aspirazione di gioco metalinguistico.
Alla fine non pare potersi condividere la
scelta operata dal protagonista di volersi rifugiare in un mondo altro,
apparentemente più rassicurante, poiché anche in esso Ozpetek rivela esservi
delle smagliature, dei tradimenti nei confronti di quello spirito recitativo e
artistico di cui si fanno portatori gli attori della compagnia teatrale.
Tutto ciò dimostra più che mai la
pavidità di un personaggio involuto, poco simpatico, nonostante i tentativi del
regista di tratteggiarne un’umanità più problematica e interessante di quello
che solitamente potrebbe apparire, ma vi innesta troppi elementi che rimangono
alla fine in sospeso, indefiniti, tanto da rendere il discorso e la rappresentazione
della storia incompleti ed insoddisfacenti.
L’ossessione cinefila e teatrale di Ozpetek
questa volta si manifesta in maniera decisamente troppo esplicita, mediante
citazioni e riferimenti al cinema dallo stesso amato e vezzeggiato. Eppure questo
discorso, sfociante nel metacinema, non pare essere nelle sue corde, seppur tenti
di proporlo al suo pubblico con i toni più accessibili della commedia, al fine di
evitare intellettualismi troppo espressi, con esiti piuttosto ingenui e deboli,
che disvelano la sua natura narrativa eccessivamente programmatica.
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