La scelta di voler raccontare attraverso le immagini di un film le vicende della sezione di polizia francese dedita a combattere i crimini contro l'infanzia, si presentava decisamente ardua ed è stata molto apprezzata dai critici e dal festival di Cannes, ma questa enfasi si scontra con una rappresentazione che si rivela invero superficiale e inadeguata.
L'idea della regista testimone, all'inizio silente più per vezzo che per vero rispetto del lavoro svolto dagli altri, appare subito pretestuoso e la stessa protagonista, ricca e insoddisfatta del proprio ambiguo rapporto con il padre delle proprie figlie, non riesce a riscattare uno sguardo intellettuale non condivisibile che irrita per la propria posizione di comodo, incapace di trovare delle veritiere giustificazioni al suo modo di essere e di porsi.
Anche la rappresentazione dei poliziotti, visti nella loro umana quotidianità, fatta di difficoltà relazionali che riguardano il loro privato, riflettendosi inevitabilmente sul lavoro, appare artefatta, quasi fosse un episodio televisivo infarcito di luoghi comuni ed emozioni che spesso irritano piuttosto che coinvolgere lo spettatore.
Polisse vorrebbe riflettere uno sguardo discreto e rispettoso di aspetti assai delicati, ma si dimostra invece inadeguato nella sua analisi e nella sua osservazione per i motivi sopra detti.
Il facile entusiasmo riservato a simili film dimostra come ci si accontenti facilmente di rappresentazioni che si ammantano di una presunta sensibilità di sguardo, ma che dimostrano invece l'artificio che li sostiene e la necessità di vedere messe in scena situazioni che meriterebbero ben altro rispetto e sensibilità da parte di chi vuole raccontarli o meglio, anche più semplicemente un'analisi più approfondita delle psicologie, senza per questo ricadere in stereotipi o soluzioni che nella loro messa in scena si dimostrano troppo pensate e costruite a tavolino.
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