Dovrebbe far riflettere il fatto che un film come quello dei Taviani, ben poco innovativo, classico per non dire vetusto e passatista nella sua impostazione metateatrale, alla fine risulta essere uno dei migliori film di questa stagione e del nostro cinema, tanto da essere premiato al festival di Berlino, per quanto i festival possano costituire un vero faro nel mercato e nelle tendenze di questa forma d'arte.
Ad ogni modo, grande merito agli attori, apparentemente non professionisti che rievocano un cinema di stampo pasoliniano, elemento connotativo che potrebbe già far storcere il naso ad alcuni, ma la costruzione dei quadri scenografici in cui si inserisce l'evoluzione narrativa della rappresentazione teatrale, virata in un bianco e nero espressionista, che rappresenta un altro elemento stilistico di maniera, contrapposto al colore della rappresentazione scenica finale nel teatro del carcere, momento in cui la battaglia entra nel vivo sino alla conclusione del dramma teatrale, dona forza a questo film che a suo modo affascina nonostante il manierismo di cui pare ammantarsi, ma che ci dimostra come due registi come i Taviani siano ancora i soli a riuscire a realizzare un'opera che ci porta a riflettere sul cinema in quanto tale e ad affascinare l'occhio spettatoriale dei cinefili, orfani di opere che nelle sale riescano a restituire emozioni e pulsioni, che sembrano sempre più guardare al rassicurante passato narrativo e filmico, perché quello attuale pare poco stimolante.
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