Il genere "scuola violenta"
difficilmente è scevro da stereotipi e pregiudizi, spesso frutto di
sceneggiature che hanno generato prodotti scadenti o quantomeno discutibili per
i loro messaggi di fondo. In questo caso il film di Reynolds aspira a
discostarsi dagli epigoni basati su visioni sociologiche semplicistiche, in cui
l’insegnante o il preside di turno reagiscono fascisticamente ad una violenza,
che il sistema scolastico pare non essere in grado di contenere per una serie
di motivi più o meno burocratici e/o psicologici.
L’elemento distintivo di Codice omicidio 187
è forse il tentativo di fornire al protagonista una dimensione psicologica che
lo caratterizzi appieno, mostrandoci le ragioni del suo agire all’interno del
contesto scolastico in cui si aggira.
Il professore, interpretato da Samuel L. Jackson,
dimostra subito dal suo arrivo nella nuova scuola quali siano i turbamenti che
attanagliano la sua mente e che gli rendono arduo il relazionarsi con altri
suoi colleghi. Due in particolare divengono gli emblemi di approcci differenti
all’insegnamento nei confronti di alunni apparentemente incapaci di emergere
dalla propria condizione di disagio sociale e con cui il protagonista si
ritrova a confronto, rappresentando un’anomalia per un sistema che richiede
figure ben definite ed incasellabili.
Samuel L. Jackson, con il procedere del racconto,
viene rappresentato come una sorta di terza via dell’insegnamento, da cui
traspaiono ancora barlumi di una passione apparentemente svanita a suo dire,
che però rischiano di contraddirsi con l’evolversi della vicenda.
Reynolds, infatti, sembra mettere in scena più
opzioni narrative con risvolti potenziali in capo alla figura del nostro
beneamato professore, gettando luci ed ombre che potrebbero confondere lo
spettatore sino ad ottenere un esito ambiguo, quale frutto di una scrittura
incerta e incoerente.
Il regista, infatti, insinua più di un dubbio
sulle azioni del protagonista, che seppur lo rendano figura intrigante e non
banale nel suo approccio alla violenza studentesca, senza incappare in una
vendetta programmatica e roboante, quale reazione al suo fallimento educativo
verso gli alunni più refrattari all’apprendimento, nel finale diviene preda di
una drammaturgia stridente con i toni sfumati mantenuti sino a quel
momento.
Si insinua così la sensazione di un prodotto che,
pur tentando di rifuggire rappresentazioni semplicistiche di un contesto
sociale ben definito e già visto più volte, si perde nelle pieghe di una morale
deteriore del male che il film vorrebbe raccontare, annegando in una retorica
da cui il protagonista, con la sua recitazione, sembrava essere riuscito a
mantenere le distanze.
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