24/04/08

Pat Garrett and Billy The Kid

Peckinpah è sempre stato sin dai suoi primi western un cantore della fine di un genere o meglio di un'epoca e dei suoi ideali e anche questo film non si sottrae al suo ruolo di canto del cigno di un mondo destinato a perdere la propria innocenza e giovinezza, costretto così ad invecchiare, a diventare adulto.
Billy The Kid (Kris Kristofferson) e Pat Garrett (James Coburn) sono due figure emblematiche e politiche, perché se uno rappresenta la giovinezza e l'innocenza di un paese che vorrebbe rimanere uguale a se stesso, libero da vincoli e costrizioni dettate dai nuovi proprietari terrieri, che avanzano verso la ormai sempre più limitata e non più vergine frontiera per imprimervi, come novelli feudatari, i propri segni del potere, dall'altra Pat Garrett rappresenta la disillusione dell'età adulta che accetta di invecchiare insieme al proprio paese e di piantarvi radici stabili e forti, a rischio di compromettersi con detto sistema feudale.
Peckinpah equilibra le posizioni di entrambi i protagonisti, insinuando in Garrett i dubbi e le ritrosie che logorano l'individuo, consapevole dell'avvicinarsi del passaggio fatidico dell'ingresso nell'età adulta e della perdita della propria innocenza, rendendolo un personaggio complesso, costretto a fare i conti con il proprio passato e con il proprio fanciullino che deve inevitabilmente sopprimere, come dimostra la sequenza finale in cui di fronte all'innocenza e bellezza della giovinezza incarnata da Billy, si contrappone la fierezza e disillusione dell'età adulta che nel momento in cui vede riflessa la propria immagine foriera di morte, istintivamente la rinnega per vergogna. E pure Billy The Kid, dopo un'inziale idea di fuga verso il Messico e verso una sicura salvezza, decide di tornare indietro dai suoi amici ed affrontare il suo destino di morte, seppur con l'incoscienza della giovinezza, ma coerente con i propri ideali.
Pat Garrett and Billy The Kid è un film dolente di ampio respiro dove la violenza viene relegata a momenti improvvisi ed isolati ed in cui fa capolino l'humour nero del regista, in particolare nella sequenza in cui i bambini del paese giocano divertiti con il cappio del patibolo, come nell'incipit de Il mucchio selvaggio dove alcuni ragazzini si dilettano invece a torturare degli scorpioni, quale sintesi della gerarchia della violenza e dei rapporti sociali tra individui.
Film che andrebbe visto in lingua originale e sottotitolato per apprezzarne la bellezza e soprattutto per sfuggire ad un doppiaggio italiano non sempre fedele e piuttosto discutibile in alcune sequenze.

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