Avati ama il passato come rifugio ideale e utopico per una rappresentazione nostalgica del tempo che fu, seppur con in mezzo quelle vicende che ci rammentano quanto difficile sia stato quel periodo che ci ha preceduto, ma chissà perché tutto appare così oleografico, pulito, come il quaderno di uno studente delle elementari che ha svolto bene i propri compiti, ma che alla lunga ti annoia come questo film, che non aveva di certo bisogno di una simile collocazione storica per raccontare una vicenda che può dirsi presente ai giorni nostri.
Ad Avati non si contesta l'idea di aver rappresentato una storia di dolore in cui Orlando e la Rohrvacher ci restituiscono una bella interpretazionee di figure marginali e perdenti, ma è il compiacimento eccessivo della mestizia e del dolore di cui è intrisa la narrazione a disturbare, insieme al contesto in costume che irrita e infastidisce come le inutili polemiche sul personaggio di Greggio.
Avati si dilunga effettivamente nei meandri della Storia d'Italia e pare perdere di vista quello che è il proposito iniziale di raccontare un intenso rapporto padre e figlia, in cui s'insinua il mancato amore di una madre (Francesca Neri, le cui labbra debordano fastidiosamante sullo schermo), insoddisfatta della propria esistenza, quindi frustrata da un contesto familiare inadeguato alle sue aspettative. Un personaggio infame, disgustoso e reietto, cui Avati non ha il coraggio di concedere sino in fondo una coerenza nella meschinità, concedendosi un finale pedante nella sua ipocrisia, nel suo buonismo melassoso, invece di sospendere il tutto in quel fermo immagine finale, carico d'incertezze come il finale originale del film di Sautet E' simpatico ma gli spaccherei il muso, in cui la Schneider rimaneva bloccata sul limitare del cancello indecisa sul suo futuro e sui suoi sentimenti, cosa che Avati non ha saputo fare per miopia e forse poco coraggio, lo stesso che aveva caratterizzato la censura italiana del tempo con Sautet.
Ad Avati non si contesta l'idea di aver rappresentato una storia di dolore in cui Orlando e la Rohrvacher ci restituiscono una bella interpretazionee di figure marginali e perdenti, ma è il compiacimento eccessivo della mestizia e del dolore di cui è intrisa la narrazione a disturbare, insieme al contesto in costume che irrita e infastidisce come le inutili polemiche sul personaggio di Greggio.
Avati si dilunga effettivamente nei meandri della Storia d'Italia e pare perdere di vista quello che è il proposito iniziale di raccontare un intenso rapporto padre e figlia, in cui s'insinua il mancato amore di una madre (Francesca Neri, le cui labbra debordano fastidiosamante sullo schermo), insoddisfatta della propria esistenza, quindi frustrata da un contesto familiare inadeguato alle sue aspettative. Un personaggio infame, disgustoso e reietto, cui Avati non ha il coraggio di concedere sino in fondo una coerenza nella meschinità, concedendosi un finale pedante nella sua ipocrisia, nel suo buonismo melassoso, invece di sospendere il tutto in quel fermo immagine finale, carico d'incertezze come il finale originale del film di Sautet E' simpatico ma gli spaccherei il muso, in cui la Schneider rimaneva bloccata sul limitare del cancello indecisa sul suo futuro e sui suoi sentimenti, cosa che Avati non ha saputo fare per miopia e forse poco coraggio, lo stesso che aveva caratterizzato la censura italiana del tempo con Sautet.
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