Philippe Claudel, apprezzato scrittore, autore de Le anime grigie, esordisce dietro la m.d.p., optando per una storia dolente e affascinante in cui riesce a costruire un racconto fatto di silenzi e reticenze che si accumulano progressivamente in una narrazione equilibrata, che dimostra una capacità di costruzione della vicenda, che solo in qualche punto pare peccare d'ingenuità rappresentativa, ma che risulta comunque forte e credibile, grazie al viso sofferente e scavato di Kristin Scott Thomas, donna rea di aver ucciso il proprio figlio e di cui ci vengono sottaciute le ragioni, sino ad un finale che necessariamente e forzatamente sembra doverci restituire una ragione per tale gesto così estremo.
Il film trova però i suoi punti di forza nella narrazione del quotidiano reinserimento nell'esistenza e nella realtà della sua protagonista, chiusa nel proprio silenzio orgoglioso e tenace, carico di un dolore sottopelle, che pare dover esplodere da un momento all'altro, ma che Claudel riesce a trattenere con stile e grazia, aggirandosi in ambienti definiti, quali i bar in cui Juliette (Kristin Scott Thomas) si aggira trascorrendo parte del suo tempo, confrontandosi con figure maschili attratte dal suo fascino silente e misterioso, cui sentono di anelare, quasi alla ricerca di una redenzione per lei stessa e per uno di loro una via di fuga ad un dolore evidente, che si trasfigura in una goffaggine romantica e adolescenziale, che Claudel tratteggia con rispetto ed intelligenza.
Un film intenso per le atmosfere e i silenzi e il confronto tra due sorelle, che necessitano di recuperare un rapporto interrotto, tanto da essere quasi cancellato dalla memoria e che per questo arreca ancor più dolore, e che solo il finale esplicativo tende a rendere forse artatamente drammatico, dimostrandoci come Claudel debba persistere sulle sfumature, tratto che in lui riesce ad essere ben più incisivo rispetto alle pennellate drammatiche sin troppo dense del finale, che rischiano di sporcare un così delicato e affascinante acquerello cinematografico.
Il film trova però i suoi punti di forza nella narrazione del quotidiano reinserimento nell'esistenza e nella realtà della sua protagonista, chiusa nel proprio silenzio orgoglioso e tenace, carico di un dolore sottopelle, che pare dover esplodere da un momento all'altro, ma che Claudel riesce a trattenere con stile e grazia, aggirandosi in ambienti definiti, quali i bar in cui Juliette (Kristin Scott Thomas) si aggira trascorrendo parte del suo tempo, confrontandosi con figure maschili attratte dal suo fascino silente e misterioso, cui sentono di anelare, quasi alla ricerca di una redenzione per lei stessa e per uno di loro una via di fuga ad un dolore evidente, che si trasfigura in una goffaggine romantica e adolescenziale, che Claudel tratteggia con rispetto ed intelligenza.
Un film intenso per le atmosfere e i silenzi e il confronto tra due sorelle, che necessitano di recuperare un rapporto interrotto, tanto da essere quasi cancellato dalla memoria e che per questo arreca ancor più dolore, e che solo il finale esplicativo tende a rendere forse artatamente drammatico, dimostrandoci come Claudel debba persistere sulle sfumature, tratto che in lui riesce ad essere ben più incisivo rispetto alle pennellate drammatiche sin troppo dense del finale, che rischiano di sporcare un così delicato e affascinante acquerello cinematografico.
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