Difficile fare i conti con il genere cinematografico per eccellenza del cinema americano, rivisitato a suo tempo da Leone e dai suoi successivi epigoni, in film più o meno godibili, ma per quanto curiosa ed interessante sia questa rilettura del genere, che ammicca in maniera intelligente ai suoi predecessori illustri, ripescandone le figure archetipiche, non tutto pare funzionare a dovere e la volontà di sparigliamento delle carte non sembra aver avuto gli esiti sperati, almeno per chi scrive, ponendosi inevitabilmente quale voce fuori dal coro e forse in maniera poco lungimirante e miope.
Sarà forse la scelta di Reneé Zellweger, sopravvalutata bellezza cinematografica, che nel suo ricalcare figure femminili comunque forti del cinema di Hawks, inserisce elementi di forte modernità, che rompono gli schemi del genere. Ma questa femminilità prorompente e femminista (?) non è così nuova come la critica vuol farci credere, perché il problema sta tutto nella resa di questo discorso, che se funziona per la prima parte del film, in cui si assiste al confronto/scontro con il villain Irons e agli spunti ironici, che demitizzano e umanizzano i duri messi in scena da Harris, dati dalla presenza femminile che irrompe nell'equilibrio della coppia di giustizieri, alla lunga appare eccessivamente ironica. Troppo, tanto da far pensare che quel pizzico di "rosa" che snatura abbondantemente il genere e il ruolo dei suoi protagonisti, che pare essere demandato alla fine al solo integerrimo ed integro Heverett Hitch (Viggo Mortensen), emblema di una figura classica del genere, che sa riconoscere i valori dell'amicizia e del rispetto, ormai giunti al tramonto, come già il genere aveva iniziato a mettere in scena attraverso Peckinpah fino al suo funerale rappresentato da Eastwood, che lui sì pur ironizzando sulle figure stanche ed invecchiate dei suoi pistoleri ha saputo infondere la giusta amarezza ai suoi cavalieri solitari e spietati, tenda alla fine a squilibrare troppo il racconto, che si allunga e prolunga in un'inutile prolusione e riflessione sulla morte dei valori che alla fine si disperde, riuscendo a riaffermarsi solo grazie alla presa di posizione di Hitch che pare riuscire a ricondurre alla nostra attenzione, ma tutto appare tardivo e annacquato dalle moine vezzose della Zellweger.
Sarà forse la scelta di Reneé Zellweger, sopravvalutata bellezza cinematografica, che nel suo ricalcare figure femminili comunque forti del cinema di Hawks, inserisce elementi di forte modernità, che rompono gli schemi del genere. Ma questa femminilità prorompente e femminista (?) non è così nuova come la critica vuol farci credere, perché il problema sta tutto nella resa di questo discorso, che se funziona per la prima parte del film, in cui si assiste al confronto/scontro con il villain Irons e agli spunti ironici, che demitizzano e umanizzano i duri messi in scena da Harris, dati dalla presenza femminile che irrompe nell'equilibrio della coppia di giustizieri, alla lunga appare eccessivamente ironica. Troppo, tanto da far pensare che quel pizzico di "rosa" che snatura abbondantemente il genere e il ruolo dei suoi protagonisti, che pare essere demandato alla fine al solo integerrimo ed integro Heverett Hitch (Viggo Mortensen), emblema di una figura classica del genere, che sa riconoscere i valori dell'amicizia e del rispetto, ormai giunti al tramonto, come già il genere aveva iniziato a mettere in scena attraverso Peckinpah fino al suo funerale rappresentato da Eastwood, che lui sì pur ironizzando sulle figure stanche ed invecchiate dei suoi pistoleri ha saputo infondere la giusta amarezza ai suoi cavalieri solitari e spietati, tenda alla fine a squilibrare troppo il racconto, che si allunga e prolunga in un'inutile prolusione e riflessione sulla morte dei valori che alla fine si disperde, riuscendo a riaffermarsi solo grazie alla presa di posizione di Hitch che pare riuscire a ricondurre alla nostra attenzione, ma tutto appare tardivo e annacquato dalle moine vezzose della Zellweger.
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