Eastwood appare come l'unico regista in grado di giocare con il politicamente scorretto per trarne un discorso sulla convivenza civile e con la diversità uniche nel suo genere.
Quello di Kowalski è effettivamente la summa dei suoi precedenti personaggi cinematografici, ma rielaborati ancora una volta e riproposti in una chiave in ogni caso nuova e intelligente, mettendo in scena una figura umana vera e complessa nella sua umanità, non così semplicistica come si vorrebbe credere e che dimostra di sapersi prendere in giro e mai troppo sul serio, attraverso la sua regia misurata e controllata nell'evitare facili scatti d'ira del suo personaggio, che Eastwood ci aiuta a percepire con efficacissime ellissi narrative e grazie al suo volto scavato dal tempo.
Quello di Eastwood è a suo modo un romanzo di formazione a doppio senso per se stesso e per il suo giovane pupillo, rappresentante di una comunità con cui sentirà di avere più punti in comune, di quanti ne abbia con la propria famiglia, che permetterà ad entrambi di crescere e maturare nuove prospettive di vita, facendo i conti con il proprio passato e prendendo coscienza del proprio futuro, accettando l'idea della morte e della espiazione delle proprie colpe ataviche, che hanno scavato l'esistenza di Kowalski.
Eastwood è come se compisse il suo viaggio iniziatico verso la morte, viaggio che riguarda tutti i personaggi da lui incarnati sinora e riassunti nella figura di Kowalski, portatore anch'egli di quelle tematiche a lui care, tra cui in primis, quella dell'assenza paterna, che attraversa da tempo il suo cinema, quale sorta di percorso di espiazione che l'uomo Eastwood sente di dover affrontare attraverso il suo cinema, e che forse lo vede per l'ultima volta quale attore sulla scena.
Quello di Kowalski è effettivamente la summa dei suoi precedenti personaggi cinematografici, ma rielaborati ancora una volta e riproposti in una chiave in ogni caso nuova e intelligente, mettendo in scena una figura umana vera e complessa nella sua umanità, non così semplicistica come si vorrebbe credere e che dimostra di sapersi prendere in giro e mai troppo sul serio, attraverso la sua regia misurata e controllata nell'evitare facili scatti d'ira del suo personaggio, che Eastwood ci aiuta a percepire con efficacissime ellissi narrative e grazie al suo volto scavato dal tempo.
Quello di Eastwood è a suo modo un romanzo di formazione a doppio senso per se stesso e per il suo giovane pupillo, rappresentante di una comunità con cui sentirà di avere più punti in comune, di quanti ne abbia con la propria famiglia, che permetterà ad entrambi di crescere e maturare nuove prospettive di vita, facendo i conti con il proprio passato e prendendo coscienza del proprio futuro, accettando l'idea della morte e della espiazione delle proprie colpe ataviche, che hanno scavato l'esistenza di Kowalski.
Eastwood è come se compisse il suo viaggio iniziatico verso la morte, viaggio che riguarda tutti i personaggi da lui incarnati sinora e riassunti nella figura di Kowalski, portatore anch'egli di quelle tematiche a lui care, tra cui in primis, quella dell'assenza paterna, che attraversa da tempo il suo cinema, quale sorta di percorso di espiazione che l'uomo Eastwood sente di dover affrontare attraverso il suo cinema, e che forse lo vede per l'ultima volta quale attore sulla scena.
1 commento:
mi sarebbe piaciuto molto andarlo a vedere, purtroppo mi sono ammalata!! ... dal tuo commento mi sa che mi sono persa un bel film, anche se Eastwood non mi è piaciuto molto nei suoi film precedenti da regista.
Ciao!! ;)
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