Ultimo film di Mario Bava realizzato per la televisione italiana ed incluso in una serie di racconti intitolata i Giochi del diavolo, che vede il figlio Lamberto alla sceneggiatura è tratto da un racconto di Prosper Mérimée, e rappresenta, per chi ne avesse goduto la visione in tv, un recupero nostalgico di un genere cinematografico e televisivo ormai forse irripetibile per visione d'insieme e tocco narrativo, anche se costituisce un esempio non eccelso delle capacità registiche e narrative del maestro, ormai stanco e afflitto dalla malattia.
Bava non trascende come sempre nell'impiego di immagini ad effetto, lasciando che siano le atmosfere e la storia stessa a suggerire la paura sottile e quasi timida, anche se datata forse a causa del mezzo di destinazione, data dal mistero che aleggia attorno all'ignota statua e al suo segreto d'amore e morte.
Opera fedele ad un tipo di televisione oggi non più riproponibile come stilemi narrativi e anche come cinema di genere, come si diceva sopra, ma che rappresenta sicuramente un esempio di narrazione e di regia da recuperare e rivedere, apprezzandone le atmosfere e il fascino del passato, nonché per la presenza di un'attrice anch'essa di culto per il genere quale Daria Nicolodi, donna dalla duplice natura, e dal fascino discreto e ammaliante, seppur non una bellezza quale siamo oggi avvezzi a concepire, ma che si adatta perfettamente ai lineamenti della bellezza classica della statua oggetto di attenzione e studio per i suoi protagonisti, che tentano ognuno a suo modo di carpirne i segreti.
Storia anche d'amore infelice, inappagabile e inappagato che si riverbera sui suoi protagonisti, vittime di un triangolo o girotondo d'infelicità inevitabile, in cui il suggello della morte e della follia racchiude e avvinghia a sé le loro esistenze, incapaci di trovare la propria serenità ed equilibrio affettivo ed esistenziale.
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