26/05/09

Vincere

"Vincere e vinceremo" diceva Oronzo Canà allenatore della Longobarda in L'allenatore nel pallone, "Perdere e perderemo" gli rispondeva il presidente della società, in un montaggio ellittico, che andava a smentire i suoi propositi di rimembranza mussoliniana, ed era questo il pensiero che mi attraversava quando vidi i primi trailer e il titolo di questo film in concorso a Cannes, sul quale la stampa italiana come sempre riponeva le proprie vane speranze di vittoria e altrettanto hanno fatto molti critici, disattendendo il verdetto del festival, ma l'idea di un film storico non mi pareva in grado, e con questo tipo di tematica, di poter colpire l'immaginario della giuria.
Considerazioni  da Cassandra dei poveri a parte, il film di Bellocchio pur stilisticamente e formalmente impeccabile o quasi, non mi ha convinto proprio per la sua natura di melodramma, forse, anzi, sicuramente perché non nelle mie corde, seppur veda due bravi ed intensi attori sulla scena.
La Mezzogiorno è splendida, corpo da ammirare e rimirare e Timi è fisicamente prestante e ottima maschera attoriale, ma quest'ultimo funziona meno nella sua inverosimiglianza fisiognomica con il Duce, soprattutto quando viene contrapposto alle immagini d'epoca, che costituiscono un contrappunto narrativo efficace e potente. Timi risulta più credibile, e qui Bellocchio indovina la scelta della maschera trasfigurante dell'attore, quando egli incarna il ruolo del figlio del Duce, imitandone spasmodicamente vezzi e modalità oratorie, come una sorta di neo Lou Castel dei tempi de I pugni in tasca.
Bellocchio sembra creare una sorta di cortocircuito identitario che risulta felice e convincente, come la sofferenza del ragazzino abbandonato in un istituto e ivi relegato sino alla maggiore età, molto più sentita rispetto a quella della madre, figura resa in maniera sobria e non urlata dalla Mezzogiorno a parte alcune sequenze sopra le righe, che possono dirsi conformi al ruolo e al destino cui viene condotta la donna rinnegata dal Duce, ma la sua insistenza spasmodica nel volersi vedere riconoscere un ruolo sempre negato sin dai primi incontri d'amore, perché è questo che Bellocchio ci fa percepire subito, la rende antipatica e la sua pervicacia, nonostante la grettezza dei suoi avversari, appare fastidiosa e non suscita sufficiente compartecipazione emotiva, seppur si possa condividere e comprendere il suo dolore. Eppure tutto questo viene dimostrato come eccessivo, sbagliato, inadeguato, ed è proprio lo psichiatra della clinica in cui Ida viene rinchiusa, consapevole della sua sanità mentale, che ce e glielo ricorda, nel tentativo vano di aiutarla a salvarsi e a sfuggire alla condanna, che essa stessa in un certo qual modo si è creata.
L'invito a fingere a recitare una parte, costituisce un discorso metafilmico appropriato che però non viene colto dalla protagonista,  tesa fino in fondo a mantenere il proprio ruolo e a professare la propria verità e le proprie ragioni, che in un mondo in cui si doveva abbozzare e fingere appare un suicidio intellettuale.
Ma sarà poi così lontana questa necessità di finzione per poter sopravvivere oggigiorno, in un mondo in cui tutto è recitazione e fingimento di qualcosa che non si è, e anzi sempre di più si vorrebbe essere?
Sicuramente Ida appare come una figura integra, integerrima, vera, rispetto all'omuncolo piccolo borghese rappresentato da Mussolini, spavaldo e apparentemente inflessibile, ma pronto a piegarsi alle convenienze del potere, della società e della borghesia da lui tanto criticata, per mantenere il proprio ruolo di individuo superiore. Figura che sparisce, viene cancellata come corpo tangibile per rivivere attraverso le immagini di repertorio che ne amplificano l'aura d'amore e odio, divenendo una sorta di divo o meglio di proiezione fantasmatica e illusoria come le immagini proiettate nella caverna di Platone.
In fondo Mussolini non è che un debole ipocrita, rispetto ad una donna come Ida, vera fautrice e promotrice degli ideali del suo amato, anche se infastidisce l'idea di una donna innamoratasi di un individuo talmente spavaldo e inetto, come dimostra la sequenza iniziale dell'orologio, che ce lo rende subito piccolo piccolo e illusorio nelle proprie convinzioni.
Forse quello che non sono riuscito ad accettare, è il fatto che la bellissima Mezzogiorno si accoppiasse ed amasse proprio quella maschera attoriale incarnata da Timi, non in quanto Duce, ma quanto archetipo maschile vile ed incapace di ricambiare un amore che chiunque altro avrebbe corrisposto con piacere e devozione, ma alla fine prevale l'immagine di un uomo oggetto di pulsioni e desideri femminili, costretti a sottostare alla schiavitù del desiderio e per quanto Ida si opponga alla prigionia in cui viene reclusa, essa è prigioniera come altre donne di un'idea sbagliata ed erronea, che se da una parte ci fa apparire gli uomini come inetti, dall'altra non riesce completamente a rendermi giustificabile ed accettabile questo amore incondizionato.

1 commento:

Ukiyoe ha detto...

Appena ho visto il trailer sono rimasta indifferente. Questo fine settimana proprio non sono riuscita a varcare la soglia di un cinema (tantissimi) che lo proiettava... Aspetterò che passi in tv al limite, se mi basterà per allora il semplice televisore! In ogni caso concordo che non si può giustificare come incondizionato l'amore per un essere come Mussolini. Ecco... forse è questa la parte di finzione o meglio "reale" di una "pazza" che vuole cercare di conservare l'autenticità... Ma non vado oltre perchè passerà mooolto tempo prima che io veda questo film...