16/10/09

Garage

Non c'è nulla di nuovo nella descrizione di un uomo ritardato noto ai suoi compaesani per i propri limiti mentali e stranezze, tanto da guadagnarsi la compassione o la derisione di chi lo conosce bene; quindi appare difficile non sentirsi compartecipi della sua diversità, perché in esso si rispecchia il nostro senso di normalità.
Quello che rende il film di Leonard Abrahmson non completamente ricattatorio è il suo sguardo a tratti oggettivo nell'osservare con la giusta distanza la quotidianità di Josie (Patt Short) nel garage da lui gestito e il suo rapportarsi con gli altri, la sua visione del quotidiano, ma soprattutto il suo contatto con l'ambiente circostante, in cui forse più semplicemente sembra trovare la propria dimensione.
Sarà la rottura della fiducia nel rapporto di amicizia con David (Conor Ryan) dovuto alla morale e ai costrutti sociali che non consentono certe manifestazioni di sincerità e umanità, che indirettamente ricordano la stessa spontaneità di Travis Bickle in Taxi Driver con Betsy - seppur qui senza alcuna ambiguità - , ad acuire il senso di solitudine e di smarrimento di Josie, il quale non potrà che optare, in un momento di lucida rilfessione, per la sola soluzione per lui praticabile.
Abrahmson adotta un ritmo lento, riflessivo, fatto di piani sequenza fissi che inquadrano un'esistenza in cui la vera solitudine non è data dall'ambiente naturale, ma da quello umano, che non comprende appieno, in quanto basato su regole strutturali predefinite, il senso di profonda umanità di un uomo che nello scoprire un vero amico e nell'anelare all'amore, si vede progressivamente privato delle emozioni più basilari e necessarie anche per un presunto dispensato come un ritardato, sino al senso di vergogna implacabile e insostenibile per ciò che gli è stato negato per propria colpa e che solo nella natura potrà trovare la sua redenzione.

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