26/01/10

Il nastro bianco

Dei bambini non si sa niente e mai si saprà perché contrariamente a quello che si può pensare Haneke non ci rivela chi sia l'autore o gli autori delle violenze perpetrate nel villaggio ad alcuni suoi abitanti, né si dovrebbe semplicisticamente ed ideologicamente vedere in questo film i prodromi del Nazismo, per quanto la voce fuori campo porti ad una lettura di questo tipo.
Al regista austriaco ancora una volta preme raccontare e rappresentare mediante il fuori campo ciò che la violenza comporta e il suo esserci nella società, piccola o grande che sia, trasmettendo un senso di raggelante oppressione umana e sociale che si disvela in alcuni momenti di apertura, di disvelamento della rabbia, della malignità insita nelle figure degli adulti e dell'odio e della grettezza di cui si fanno portatori, sino alla rinnegazione di una possibile verità finale.
Vi è un'inquietante freddezza negli sguardi e nei gesti dei bambini del villaggio, testimoni, vittime e carnefici di una violenza sottesa, sempre negata esplicitamente allo spettatore, ma suggerita con abile senso dell'attesa e della sospensione del giudizio, che Haneke opera con lucida programmazione ed è questo forse uno degli aspetti che vengono recriminati all'autore austriaco.
Eppure non si può negare ad Haneke di aver realizzato un'opera che non è solo formalmente perfetta, raggelata nel suo bianco e nero devitalizzante ogni speranza o gioia, anche quando in esso vi si inseriscono figure positive come quella del maestro e della bambinaia, che a loro modo si pongono come contraltari di vera purezza e non bramosia di fronte a tanta animalità, insita forse nel calore della terra e della natura della campagna come avrebbe immaginato Pavese, seppur con un'idea poetica ben diversa dall'interesse antropologico e a tratti entomologico di Haneke.
Il film del regista austriaco si allontana dalle sue ultime opere involute e autoriflessive, in cui lo sguardo rivolto alla nostra capacità di apportare violenza e prevaricazione sugli altri sembrava essersi rinchiuso in se stesso e non trovare più una nuova strada d'uscita. Ora invece il rigore vince su tutto restituendoci un discorso formalmente e sostanzialmente impeccabile in cui i dubbi, le ansie e le riflessioni non smettono di insinuarsi nelle nostre menti, suscitando un desiderio di conoscenza e verità che rimarrà inappagato come il nostro sguardo, che è costretto ad intuire, a cercare di vedere ciò che Haneke volutamente ci nega, consapevole del nostro desiderio morboso di conoscenza anche del male dietro ogni porta chiusa.

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