Il nuovo film di Mike Leigh dimostra ancora una volta, come se vi fossero dubbi in merito, come il regista inglese sia un ottimo scrittore di cinema nonché direttore di attori. La sua capacità narrativa sta tutta nei dialoghi e nelle situazioni della vita che riesce a trasporre per immagini, creando una sorta di filo conduttore comune in quasi tutti i suoi lavori, in cui le esistenze dei suoi protagonisti sono attraversate da una malinconia ed un'amarezza di fondo che non sono quasi mai fini a se stesse, ma anzitutto costituiscono una raffigurazione fedele dell'esistenza stessa e della quotidianità, consentendo un'immedesimazione e una compartecipazione rare nel cinema d'autore.
Leigh non rinuncia a descrivere personaggi bizzarri e sbandati, che paiono essere un archetipo imprescindibile del suo cinema, che ancora una volta e in questo caso particolare si fa ancor più intimista e riflessivo sullo scorrere del tempo, come il titolo stesso evoca chiaramente, costruendo un film corale in cui il referente principale è una coppia felice, attorno alla quale ruotano una serie di figure emblematiche e rappresentative della commedia umana del regista inglese.
La scelta stessa della musica, i dialoghi mai artefatti e le figure che compongono il quadro generale, sono elementi fondanti e fondamentali del suo cinema, che può anche annoiare e distanziare lo spettatore, ma innegabile è la sua capacità di descrivere mai senza ambiguità, seppur alludendo ma intelligentemente e in maniera intelligibile a drammi e condizioni umane sottese nei rapporti che legano i vari protagonisti.
Leigh ama recuperare anche attori di sue precedenti opere per insinuarli nel suo racconto, come Imelda Stauton, che appare in un cammeo, che incuriosisce e crea i presupposti per una storia di sofferenza e disagio, tipiche del suo cinema, ma che volutamente evita di approfondire, forse perché il suo stesso personaggio racchiude già in sé un dramma che non può trovare uno sfogo liberatorio, ma neppure la protagonista sottesa, ma non troppo, della vicenda qui narrata pare poter trovare una risposta alla propria inquietudine, non certamente rifugiandosi o cercando una valvola di sfogo nelle visite ai suoi amici e Leigh questo ci aiuta a comprenderlo con il passare delle stagioni e con l'evolversi della vicenda, offrendoci ancora una volta spunti di riflessione, di sorrisi, seppur amari, ma con la consapevolezza di aver ancora una volta vissuto un momento di vita reale e plausibile.
Aspetti che forse porranno domande sulla necessità di simile visione e fruizione, ma di fronte a tale scrittura viene spontaneo avvicinarsi, almeno per riflettervi un attimo e chissà magari trarvi anche qualche spunto positivo nonostante quel retrogusto amarognolo che il suo cinema è ancora in grado di regalarci, ma senza voler essere compiaciuto e compiacente.
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