04/06/13

La grande bellezza

Difficile addentrarsi in questo film e inane il compito di descriverlo e analizzarlo, almeno per me che da questa visione ne sono uscito affascinato e turbato, consapevole della mia incapacità a coglierne tutte le vere sfumature e significati, al di là delle apparenze e della superficie, al di là delle critiche positive e negative che su di esso sono sicuramente piovute, offrendo più di un'interpretazione e di una considerazione sul lavoro di un regista di talento, che oggigiorno può sicuramente creare nel nostro paese nuove schiere di detrattori e suoi estimatori.
Non nascondo di appartenere alla seconda categoria e con difficoltà a suo tempo recensii il suo ultimo film, di cui mi rimase la sensazione di qualcosa di non perfettamente riuscito, di non completamente consono alle sue corde e alla sua visione del mondo.
Invece, ritengo che questo ultimo suo lavoro sia congruo con il suo sguardo capace di indagare una realtà fatta di piccole e grandi mostruosità, descritte attraverso la rinuncia a conclusioni meramente sociologiche, dimostrando così di volersi addentrare ben oltre il mero disfacimento sociale e infine solleticare le corde del nostro apparato umano.
Sorrentino sin dalle prime immagini sembra volerci esplicitare che questo suo film intraprenderà percorsi non lineari, per nulla apparentemente comprensibili o condivisibili dallo spettatore e da chi dovrebbe giudicarne il valore più o meno artistico. 
Il regista fotografa prima di tutto una Roma fatta di dettagli minimali, alcuni evidentemente riconoscibili e volutamente tali, altri più intimi ed interiori, come parti integranti di quel viaggio che il suo protagonista percorre senza una vera presa di coscienza e che anche per chi guarda non è immediatamente percepibile. Forse per questo può scaturire in chi vede un senso di straniamento e fastidio nel non comprendere appieno fin dove il nostro autore ci voglia condurre, perché Sorrentino dimostra come la noia, l'appiattimento ed il nulla flaubertiani possano essere rappresentati attraverso un loisir della m.d.p. e del suo protagonista in maniera apparentemente non programmatica.
Sorrentino fotografa una città, ma anche una parte di società, attraverso il suo protagonista, in cerca di una propria identità, di un ricordo illusorio del proprio passato, senza per questo trasformarlo forzatamente in un disagio esistenziale tragico e drammatico.
Forse sono l'apparente leggerezza narrativa e l'apparente formalismo registico che porteranno molti a ritenere questo film un esercizio di mero stile o un'opera trasudante un senso di affaticamento e noia insopportabili e inconcepibili. 
Questo perché lo sguardo di Sorrentino rimane comunque impietoso e chirurgico attraverso la riesumazione di cadaveri cinematografici come quello di Serena Grandi e per la capacità di saper regalare uno dei migliori ruoli della carriera di Sabrina Ferilli, dimostrando come e quanto un bravo regista possa trarre il meglio anche da chi fino a quel momento si era artisticamente sottovalutato.
La grande bellezza alla fine rimane e rimarrà un film in grado di suscitare contrasti e forse per questo sarà un film che potrà permanere nella nostra memoria retinica costringendoci a dibatterne ancora, a scavare ulteriormente in esso e a grattarne la superficie patinata, quella patina che tanto annoierà i suoi detrattori e che li porterà a liquidarlo semplicisticamente come un inadeguato aggiornamento delle visioni felliniane della nostra società e di cui io stesso continuerò a cercare ed indagare i molteplici sensi e significati con buona pace di chi non l'ha visto o non gli è piaciuto.

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