Nutrivo una qualche speranza e fiducia in questo film d'esordio, un po' per la trama e un po' per quanto letto in merito allo stesso, ma ancora una volta la dura realtà mi ha presentato il conto di un'opera che pur tentando di giocare su precise atmosfere e sulle prove di recitazione, incoccia in un risultato deludente.
Delude il film per il suo girare a vuoto intorno ad una vicenda dagli echi di un ormai remoto e rimpianto Pupi Avati, almeno per i tentativi di atmosfera ed ambientazione, che vorrebbe inquietare e stupire lo spettatore, ma subito dimostra di non sapere che strada intraprendere, apparendo confuso e alla lunga ripetitivo e scoordinato, laddove anche alcuni passaggi logici appaiono evidentemente forzati. Non aiuta anche l'interpretazione del protagonista, apprezzato e apprezzabile nella serie televisiva Romanzo Criminale, ma qui piuttosto piatto ed imbarazzante come la sua fidanzata, nella finzione, che appare ad aprire e chiudere la vicenda, ma risultando decisamente poco credibile e convincente nel suo fungere quale figura razionale e anche volutamente antipatica e contrariata, rispetto alle scelte del giovane erede, di cui il titolo.
Storia che avrebbe sicuramente funzionato bene per un cortometraggio, ma che sulla lunga durata, neppure eccessiva come minutaggio vero e proprio, non decolla e spreca le buone ed efficaci interpretazioni dei misteriosi e vendicativi vicini di casa, che vantano diritti sull'eredità, addivenendo ad espedienti che ricordano situazioni tipo Misery non deve morire, ma senza trascendere nell'eccesso.
Un'opera prima che non appare affatto esaltante e che per l'esito infastidisce nel far pensare che il contributo ricevuto per la sua realizzazione sia stato impiegato in maniera non adeguata, nonostante alla scrittura vi sia un nome come Ugo Chiti.
Bisogna riflettere sul nostro cinema e domandarsi dove possa andare a parare col tempo, attraverso opere e operazioni che tentano di costruire storie in cui la scelta di genere sembra non essere mai messa sufficientemente a fuoco e gli sbandamenti interni rischiano di provocare noia, fastidio e anche risate involontarie, laddove invece il dramma dovrebbe essere l'elemento portante e caratterizzante dell'opera realizzata.
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