05/06/07

Grindhouse - Death Proof

Tarantino dimostra di divertirsi più che mai e di voler giocare col cinema di serie B da lui tanto amato, confezionando un film che, come i prodotti di genere cui si ispira, è costituito da una trama esile, il cui pretesto è quello di mettere in mostra bellezze strizzate in abiti succinti, inserite in un contesto profilmico in cui elementi d'epoca e contemporanei convivono in un accumulo di segni e significati prettamente postmoderni, o come si direbbe oggi vintage.
Sin dai titoli di testa il regista si diletta con lo spettatore, strizzando l'occhio ad un passato cinematografico a lui ben noto, che viene rimescolato con il suo stesso cinema e le sue manie feticiste, come dimostra l'inquadratura d'apertura di un paio di piedi femminili appoggiati al cruscotto di un auto, ondeggianti a ritmo di musica.
Tarantino cerca di relaborare un genere di cinema di bassa lega, maltrattando la pellicola stessa mediante salti improvvisi dell'immagine, per poi recuperarne immediatamente lo scorrere regolare e così il senso stesso dei suoi verbosi dialoghi, così maledettamente veri nel loro realismo quotidiano e innocentemente banale.
Se la prima parte è necessariamente prodromica all'introduzione del maniaco Stuntman Mike (Kurt Russell), il cui ingresso in scena vitalizza subito la vicenda sino all'accelerazione finale del racconto, la seconda pare più polita anche tecnicamente, tanto da regalarci inquadrature e sequenze di notevole impatto, che dimostrano come Tarantino conosca bene il mezzo, anche se a volte può apparire irritante questo suo continuo giocare con i generi e con se stesso, ma finché gli riesce perché impedirglielo?

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