Il taglio documentario scelto dal regista riesce a restituire senza facili patetismi la schiettezza di un dramma familiare che vede quattro ragazzini, figli di padri diversi e mai denunciati all'anagrafe, vivere clandestinamente in una appartamento di Tokyo con la propria immatura madre, che dopo alcuni viaggi di lavoro li abbandonerà definitivamente, facendo loro pervenire ogni tanto del denaro.
Kore'eda costruisce il dramma di una famiglia con estrema semplicità, in maniera quasi bislacca, come dimostra l'arrivo dei vari ragazzini all'interno di valigie fatte pervenire tramite una ditta di traslochi, ma che evidenzia sin da subito la precarietà esistenziale cui sono costretti questi bambini dall'infanzia negata.
Akira il maggiore dei quattro è colui che viene responsabilizzato da una madre distante ed incapace di sostenere il ruolo che le spetterebbe, privando i propri figli di una normalità che vorrebbero assaporare come gli altri ragazzi da loro osservati, e che lui stesso potrà conoscere seppur per un breve istante. Egli si ritrova così a badare ai propri fratelli e sorelle, trascinandosi in una spietata quotidianità costituita da tappe fisse presso il negozio di alimentari da cui si riforniscono e di saldo di bollette presso lo sportello automatico, sino al momento della crisi che si sviluppa progressivamente e impercettibilmente attraverso dettagli minimali, che delineano un dramma realmente accaduto, ma che il regista ha saputo raffigurare evitando comodi sensazionalismi e regalandoci un film intenso come lo sguardo del suo protagonista Yagira Yuya.
Kore'eda costruisce il dramma di una famiglia con estrema semplicità, in maniera quasi bislacca, come dimostra l'arrivo dei vari ragazzini all'interno di valigie fatte pervenire tramite una ditta di traslochi, ma che evidenzia sin da subito la precarietà esistenziale cui sono costretti questi bambini dall'infanzia negata.
Akira il maggiore dei quattro è colui che viene responsabilizzato da una madre distante ed incapace di sostenere il ruolo che le spetterebbe, privando i propri figli di una normalità che vorrebbero assaporare come gli altri ragazzi da loro osservati, e che lui stesso potrà conoscere seppur per un breve istante. Egli si ritrova così a badare ai propri fratelli e sorelle, trascinandosi in una spietata quotidianità costituita da tappe fisse presso il negozio di alimentari da cui si riforniscono e di saldo di bollette presso lo sportello automatico, sino al momento della crisi che si sviluppa progressivamente e impercettibilmente attraverso dettagli minimali, che delineano un dramma realmente accaduto, ma che il regista ha saputo raffigurare evitando comodi sensazionalismi e regalandoci un film intenso come lo sguardo del suo protagonista Yagira Yuya.
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