12/08/07

L'ultima corvée

Nicholson è stato forse l'attore feticcio della New Hollywood tesa a rappresentare quel lato dell'America rinnegata dalla politica e dai media, perché distante da quell'immagine di floridezza e gaudio professata dai suddetti, e molti film di questo movimento cinematografico hanno a loro modo messo in discussione questa parvenza di serenità, mostrandone il lato oscuro e meno gradevole, mediante storie di uomini comuni posti a confronto con la propria esistenza e la cruda realtà.
In questo caso il contesto è incentrato su una scorta militare costretta a condurre al carcere di Portsmouth un povero marinaio, reo di aver tentato un furto involontario, poiché malato di cleptomania. I due protagonisti, svogliati e disillusi, si rendono consapevoli della condizione umana ed esistenziale del povero carcerato, un disadattato, incapace di vivere, inesperto del mondo circostante, nei cui amari ricordi d'infanzia pare riconoscersi il duro Buddusky (Jack Nicholson), ed è da questa affezione sviluppata dai carcerieri, che il viaggio lungo un paese freddo e aspro si trasforma in un tentativo di formazione e crescita per il povero Meadows (Otis Young), grazie agli incontri occasionali e spesso violenti con un universo umano ostile, ma che il marinaio Buddusky pare conoscere bene, coinvolgendo anche il restio Mulhall, il quale si ritrova a doversi confrontare con un razzismo latente e ancora presente in una società così apparentemente evoluta e moderna.
Film amaro, in cui la marcetta finale che accompagna la scorta verso un futuro incerto e carico di rabbia, data da una frustrazione sottopelle tipica di una nazione in continuo cambiamento e costretta a doversi confrontare con i ricordi amari della guerra del Vietnam, con tutto quello che ne è conseguito emotivamente, suona lucidamente sarcastica.

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