
Al regista non interessa celare l'identità dell'assassino, rendendocelo subito noto sin dalla sua entrata in scena e rinunciando all'eventuale mistero scaturibile dalla sua figura, spostando la tensione verso le indagini poliziesche, sino alla resa dei conti finale, dove tutto si riconduce alla Senna traghettatrice delle vittime di Barbablù.
Carradine con la sua fisicità evoca l'eleganza e l'ombrosità di un vampiro, ebbro di un disagio interiore che pare non trovare pace e che la pittura alimenta attraverso raffigurazioni evocatrici di fantasmi dell'inconscio che solo lo spettacolo teatrale delle marionette pare esorcizzare, come se gli fosse possibile manipolare la vita attraverso i fili con cui conduce i suoi pupazzi.
L'amore potrebbe redimerlo, ma la sua aspirazione ideale lo rende incapace di soppesare la realtà trasfigurandola, come dimostrano le sue tele e riducendolo a figura solitaria e fondamentalmente misogina, anafettiva, incapace di controllare i propri istinti omicidi, sino all'inevitabile autodistruzione.
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