
Poppy (Sally Hawkins) costituisce un'eccezione, una variabile inaspettata e colorata all'interno del solito grigiore londinese che questa volta la sempre valida fotografia di Dick Pope risalta attraverso un uso decisamente pop dei colori, quale elemento non solo scenografico, di un racconto che nasconde tra le sue pieghe riflessioni non banali sulla nostra vita e sulle modalità di rapportarci ad essa, con tutte le idiosincrasie che la modernità spesso comporta e che in Scott (Eddie Marsan) trovano un esemplare specifico, una sorta di nuovo arrabbiato alla Johnny di Naked, ma anche elemento portante della vitalità di cui si fa portatrice la protagonista, la quale dovrà comunque scontrarsi inevitabilmente con la durezza della realtà e dell'impossibilità di rendere tutti effettivamente felici. E' come se Leigh non volesse, giustamente rinunciare a ricondurci alla vita di tutti i giorni, alla quotidiana lotta che ognuno di noi si ritrova ad affrontare e che spesso nel suo cinema è volutamente rappresentata da una rabbia caricaturale, ma funzionale al racconto, in quanto dietro di essa alla fine si percepisce sempre e comunque un dolore vero e sincero che ci porta a riflettere sulle nostre esistenze e quelle di chi circonda.
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