06/12/08

La mia droga si chiama Julie

Il film di Truffaut che più di ogni altro ha saputo rappresentare l'amore nella sua totalità come gioia e sofferenza allo stesso tempo, parafrasando Louis (Belmondo) che rivolgendosi a Julie/Marion - anch'essa donna che visse due volte - dice: guardare il tuo viso è una gioia ma anche una sofferenza. In questa frase c'è tutto il sentimento più puro e contraddittorio dell'amor fou. Louis in fondo è il fratello di Michel Poiccard/Lazlo Kovacs di A bout de souffle di Godard basato non a caso su un'idea di Francois Truffaut.
Quindi tutto torna sistematicamente e precisamente nel cinema del regista francese e in questo film a suo tempo non apprezzato perché visto come imperfetto e pomposo, in realtà frutto di una sincerità e un amore totale per la sua protagonista, una Deneuve la cui bellezza fa star male e che trova in Belmondo il compagno cinematografico ideale per descrivere e declinare una storia di William Irish in un racconto d'amore e morte, in cui i riferimenti cinematografici di Truffaut sono funzionali ad una storia in cui l'amore vince su tutto, lasciando i due protagonisti spossati e sofferenti allontanarsi in un paesaggio candido ma ostile ancora uniti, come nel finale di Tempi Moderni, da un sentimento che ha dovuto superare prove e tradimenti sempre in agguato, come si conviene per una coppia inaspettatamente e involontariamente criminale, come comprenderà Julie/Marion tra le lacrime dichiarando quanto l'amore faccia soffrire e patire per il solo fatto di averlo provato almeno una volta nella vita.
Un film che molti ancora oggi liquideranno come inverosimile e sconnesso o semplicemente minore nella cinematografia di Truffaut, ma che per chi saprà o vorrà apprezzarlo rivelerà tutta la sua passione sincera e nient'affatto stucchevole, in cui vi si potranno riconoscere le fluttuazioni e le ansie di un sentimento oggigiorno banalizzato e che a distanza di anni solo Truffaut sembra essere riuscito a declinare abilmente in tutte le su forme.

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