
Un film la cui regia gioca forse con troppa insistenza sul fuori fuoco e sull'attaccamento totale al corpo nervoso del suo protagonista, con un montaggio che utilizza anche l'overlap come sorta di straniamento narrativo, ma a funzionare maggiormente è la scrittura di un racconto ambientato durante la dittatura di Pinochet, figura fantasmatica che pervade con un clima di terrore tutto il film e che s'incarna perfettamente nel corpo e nella decadenza fisica ed etica di Raul (Alfredo Castro), uomo incapace ormai di qualsiasi sentimento e impotente come la sua stessa nazione, che in un finale sospeso ed improvviso lascia presagire ed immaginare tutto il terrore ed orrore di cui sarà capace e che il suo paese ha vissuto, ritrovandosi ancora oggi con fatica a comprenderne le ragioni.
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