Strano destino quello del nuovo film di Oliver Stone, inviso all'Italia amica di Bush, è passato direttamente in tv, purtroppo perdendosi nel doppiaggio, che non ha potuto rendere al meglio il suo servizio all'interpretazione di Brolin, incarnante le fattezze di uno dei presidenti più discussi dopo Nixon.
E come per il precedente Nixon - Gli intrighi del potere, Stone segue un andamento temporale altalenante come quello di una pallina da baseball, metafora sportiva scelta dal regista per descrivere le sensazioni ed emozioni dell'uomo più potente del mondo, che rammenta l'espediente narrativo utilizzato di De Lillo nel suo romanzo Underworld.
Stone ancora una volta sceglie un momento cruciale per il suo protagonista, che se per Nixon era l'inizio della crisi attraverso lo scandalo Watergate, qui si tratta della decisione di attaccare l'Iraq e di trovare le ragioni adatte per giustificare questa scelta al mondo intero.
Stone ancora una volta appare meno cattivo di quanto ci si possa aspettare, restituendoci un ritratto sì grottesco, ma benevolo nei confronti di Bush, che risulta gradevole e divertente, ma che avrà sicuramente deluso tutti i maggiori detrattori del presidente, ma si deve dare merito a Stone di non aver voluto strafare come suo solito, con la consueta rabbia ed eccesso che spesso ha contraddistinto il suo cinema.
Ne esce una figura comunque umana nella propria inettitudine, e che il calembour linguistico del sottotitolo originale esprime alla perfezione, schiacciata da una figura paterna scespiriana, che lo opprimerà per sempre, facendolo sentire sempre inadeguato al proprio casato, ma riprendendosi una rivincita morale, riuscendo ad essere rieletto per un secondo mandato.
Un film dunque intelligente che sa dosare ironia e grottesco, vantando un cast ed una recitazione molto ben studiate, che andrebbe rivisto in lingua originale per apprezzarne a pieno tutte le sfumatura linguistiche.
E come per il precedente Nixon - Gli intrighi del potere, Stone segue un andamento temporale altalenante come quello di una pallina da baseball, metafora sportiva scelta dal regista per descrivere le sensazioni ed emozioni dell'uomo più potente del mondo, che rammenta l'espediente narrativo utilizzato di De Lillo nel suo romanzo Underworld.
Stone ancora una volta sceglie un momento cruciale per il suo protagonista, che se per Nixon era l'inizio della crisi attraverso lo scandalo Watergate, qui si tratta della decisione di attaccare l'Iraq e di trovare le ragioni adatte per giustificare questa scelta al mondo intero.
Stone ancora una volta appare meno cattivo di quanto ci si possa aspettare, restituendoci un ritratto sì grottesco, ma benevolo nei confronti di Bush, che risulta gradevole e divertente, ma che avrà sicuramente deluso tutti i maggiori detrattori del presidente, ma si deve dare merito a Stone di non aver voluto strafare come suo solito, con la consueta rabbia ed eccesso che spesso ha contraddistinto il suo cinema.
Ne esce una figura comunque umana nella propria inettitudine, e che il calembour linguistico del sottotitolo originale esprime alla perfezione, schiacciata da una figura paterna scespiriana, che lo opprimerà per sempre, facendolo sentire sempre inadeguato al proprio casato, ma riprendendosi una rivincita morale, riuscendo ad essere rieletto per un secondo mandato.
Un film dunque intelligente che sa dosare ironia e grottesco, vantando un cast ed una recitazione molto ben studiate, che andrebbe rivisto in lingua originale per apprezzarne a pieno tutte le sfumatura linguistiche.
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