
Mendes come sempre molto attento nella cura formale delle immagini e della fotografia, riesce stavolta forse ad infondere una parvenza d'anima al suo film, grazie alla Winslet ben calata nella parte, mentre Di Caprio appare facilmente schiavo di smorfie e irritazioni che sono comunque parte integrante del suo personaggio, ma il tutto si dimostra molto di scuola e non traspare vero sentimento.
Leggere il film in chiave di semplice crisi di coppia sarebbe riduttivo e semplicistico, perché Mendes riaggiorna grazie a Yates il discorso intrapreso con American Beauty, film sopravvalutato nel suo ammiccante iperrealismo volto alla decostruzione della famiglia americana contemporanea, per tratteggiare un ritratto ed un'analisi sociologica più approfondita e vera, in cui emergono le paure dell'individuo a vivere realmente e a svincolarsi dal torpore rassicurante del conformismo offertogli dalla società.
Ed è da questa fobia e senso d'inadeguatezza, che scaturisce il dramma e la tragedia di una famiglia, che frantuma e corrode il perfetto sogno americano, costringendo anche chi sta loro intorno a riflettere sulla propria esistenza, rifiutandone la realtà per rifugiarsi nuovamente nella sicurezza degli oggetti e delle proprie abitazioni, sino al silenzio finale autoimposto per non sentire e non capire, quale sia la vita fallace che il sogno ci propina.
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