Piccioni è uno di quei pochi registi italiani che nel rappresentare l'intimismo familiare e i sentimenti contrastanti che lo attraversano riesce a non essere eccessivamente lezioso ed ombelicale, dimostrando una leggerezza e un'intensità credibili, nonostante i suoi personaggi siano spesso mesti, tristi, insicuri, indecisi e se ne potrebbe dire ancor più.
Guido (Valerio Mastandrea) ne costituisce un archetipo del suo cinema, figura attraverso la quale Piccioni si permette una critica sociale al mondo dei premi letterari, infarciti di un vuoto e di un chiacchiericcio, recentemente oggetto di una riflessione su un quotidiano nazionale.
Difficile non riconoscere nel giovane scrittore candidato al premio finale del concorso letterario nazionale (leggi Premio Strega) la figura di Paolo Giordano, che però non appare avversata dal nostro protagonista, il quale saprà in ogni caso piegarsi con facilità alle richieste della propria scaltra e ambigua editrice nell'indicare le proprie preferenze letterarie contemporanee, la quale invece saprà salire a tempo debito sul carro del vincitore, ma se questo aspetto può apparire forse debole e semplicistico nel suo intento satirico seppur sfumato, Piccioni colpisce e risulta più intenso nel raccontare gli incontri tra Guido e Giulia, una mesta e rassegnata Valeria Golino, la cui vita gravita intorno ad una piscina, sorta di acquario in cui lo sguardo della m.d.p. del regista s'immerge sin dalle prime inquadrature. Mondo parallelo in cui ovattare il dolore e concludere due esistenze insoddisfatte e apparentemente inappagabili, in cui vi è sempre un filtro atto a separarle e distanziarle.
Guido è uno scrittore timoroso, incapace di scegliere cosa raccontare, dalla cui scrittura traspare un'attesa, una ricerca di un sentimento che pare non provare più per la propria moglie e che si ritrova a riconoscere e conoscere attraverso gli occhi ben più adulti della figlia adolescente nonostante il desiderio incerto e inconciliabile per Giulia, che a suo modo saprà indicargli la via per un rapporto più sincero e stretto con la propria figlia, lasciando una luce di speranza ad un'esistenza intimamente tormentata come quella dei suoi personaggi di carta.
Guido (Valerio Mastandrea) ne costituisce un archetipo del suo cinema, figura attraverso la quale Piccioni si permette una critica sociale al mondo dei premi letterari, infarciti di un vuoto e di un chiacchiericcio, recentemente oggetto di una riflessione su un quotidiano nazionale.
Difficile non riconoscere nel giovane scrittore candidato al premio finale del concorso letterario nazionale (leggi Premio Strega) la figura di Paolo Giordano, che però non appare avversata dal nostro protagonista, il quale saprà in ogni caso piegarsi con facilità alle richieste della propria scaltra e ambigua editrice nell'indicare le proprie preferenze letterarie contemporanee, la quale invece saprà salire a tempo debito sul carro del vincitore, ma se questo aspetto può apparire forse debole e semplicistico nel suo intento satirico seppur sfumato, Piccioni colpisce e risulta più intenso nel raccontare gli incontri tra Guido e Giulia, una mesta e rassegnata Valeria Golino, la cui vita gravita intorno ad una piscina, sorta di acquario in cui lo sguardo della m.d.p. del regista s'immerge sin dalle prime inquadrature. Mondo parallelo in cui ovattare il dolore e concludere due esistenze insoddisfatte e apparentemente inappagabili, in cui vi è sempre un filtro atto a separarle e distanziarle.
Guido è uno scrittore timoroso, incapace di scegliere cosa raccontare, dalla cui scrittura traspare un'attesa, una ricerca di un sentimento che pare non provare più per la propria moglie e che si ritrova a riconoscere e conoscere attraverso gli occhi ben più adulti della figlia adolescente nonostante il desiderio incerto e inconciliabile per Giulia, che a suo modo saprà indicargli la via per un rapporto più sincero e stretto con la propria figlia, lasciando una luce di speranza ad un'esistenza intimamente tormentata come quella dei suoi personaggi di carta.
Nessun commento:
Posta un commento