Gli americani avvertono l'irresistibile necessità di dover riflettere sulla capacità di certi soggetti umani nel costruire castelli di carte e bugie tali da riuscire a turlupinare un intero sistema, per poi essere fagocitati dalle loro stesse menzogne. E' quasi una sorta di elogio della furbizia con castigo finale e morale pronto a garantire che il sistema è in grado di riassestarsi, di continuare a funzionare nonostante i danni che ne sono conseguiti, perché quello americano è il migliore, il più onesto, il più democratico dei sistemi economici e sociali possibili.
Soderbergh adotta toni da commedia e un Matt Damon imbolsito, perché l'attore se è famoso ed è pure ingrassato per interpretare un determinato ruolo, acquisisce subito maggiore credibilità recitativa, tant'è che la stampa ne esalta subito le doti interpretative, come se ingrassare come De Niro in Toro scatenato sia una garanzia di successo.
Personalmente ho sempre trovato Damon non così irresistibile come attore tant'è che l'ho apprezzato giusto in un film controverso come The Departed, in cui rappresentava la grettezza umana in maniera efficace proprio grazie alla sua faccia da bravo ragazzo. In questo film però gli si deve comunque riconoscere una certa credibilità ed ambiguità che porta lo spettatore a domandarsi se sia stupido o tremendamente furbo, fino al momento in cui non si avverte chiaramente che vi è qualcosa di veramente problematico in questa sua necessità di mentire e apparire costantemente agli onori e disonori della cronaca.
Soderbergh svolge il suo compito a dovere senza sbavature, seguendo il percorso pluriennale della Gola Profonda dell'industria agricola e lo conduce sino alla fine del suo percorso con apposite didascalie che ci riconsegnano il presente di un uomo in grado a rifarsi comunque una vita all'interno del sistema stesso.
Ed è forse questo l'aspetto che più colpisce in un film che non innova più di tanto il discorso di una tematica consolidata negli ultimi anni ovvero quella della menzogna e la sua incontrollabilità, tanto da non renderlo di certo così irresistibile ed imperdibile come la critica vorrebbe farci credere.
Soderbergh adotta toni da commedia e un Matt Damon imbolsito, perché l'attore se è famoso ed è pure ingrassato per interpretare un determinato ruolo, acquisisce subito maggiore credibilità recitativa, tant'è che la stampa ne esalta subito le doti interpretative, come se ingrassare come De Niro in Toro scatenato sia una garanzia di successo.
Personalmente ho sempre trovato Damon non così irresistibile come attore tant'è che l'ho apprezzato giusto in un film controverso come The Departed, in cui rappresentava la grettezza umana in maniera efficace proprio grazie alla sua faccia da bravo ragazzo. In questo film però gli si deve comunque riconoscere una certa credibilità ed ambiguità che porta lo spettatore a domandarsi se sia stupido o tremendamente furbo, fino al momento in cui non si avverte chiaramente che vi è qualcosa di veramente problematico in questa sua necessità di mentire e apparire costantemente agli onori e disonori della cronaca.
Soderbergh svolge il suo compito a dovere senza sbavature, seguendo il percorso pluriennale della Gola Profonda dell'industria agricola e lo conduce sino alla fine del suo percorso con apposite didascalie che ci riconsegnano il presente di un uomo in grado a rifarsi comunque una vita all'interno del sistema stesso.
Ed è forse questo l'aspetto che più colpisce in un film che non innova più di tanto il discorso di una tematica consolidata negli ultimi anni ovvero quella della menzogna e la sua incontrollabilità, tanto da non renderlo di certo così irresistibile ed imperdibile come la critica vorrebbe farci credere.
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