Molto rumore per nulla o quasi, perché in fondo questo documentario battente bandiera svedese ma di autore italiano, per quanto sia stato criticato, non aggiunge nulla di nuovo alla nostra conoscenza e coscienza di telespettatori, in quanto Blob e Report ci hanno già a loro tempo illustrato più volte i meccanismi e le degenerazioni del video e i personaggi che lo popolano.
Gandini offre uno sguardo estraneo ed esterno su una realtà che suscita sempre più interesse all'estero e fornisce a chi non ci conosce un quadro generale del sistema televisivo, e per certi versi, di una certa cultura e pensiero che Berlusconi ha avuto la capacità di risvegliare a suo tempo e diffondere attraverso l'etere, con le conseguenze che ben conosciamo.
Il film tende però, secondo uno spettatore italiano a rimanere spesso in superficie e a rischiare una certa discontinuità narrativa, che non aiuta a comprendere fino in fondo le intenzioni dell'autore o a lasciare l'impressione che non sia riuscito completamente ad approfondirle come avrebbe dovuto e potuto.
Rimane in ogni caso un senso di agghiacciante terrore e disgusto per certe aberrazioni umane del mondo esterno che aspira ad entrare nella scatola magica per poter emergere e trionfare, come il ragazzo di provincia assurto ad archetipo di una volontà ferrea di conquista del quarto d'ora di celebrità warholiano, che nel suo caso specifico più che disgustare provoca compassione e dispiacere, sensazione che il più delle volte non traspare dal tubo catodico nell'assistere a certe prestazioni "artistiche", che solitamente ingenerano senso di vergogna in chi le guarda, imbarazzandosi per chi si presta a tali esibizioni.
Niente di nuovo per quanto riguarda Lele Mora o Corona, seppur la spontaneità e sincerità da loro dimostrata conferma impressioni e intuizioni che finora erano risultate evidenti dalle inchieste che li hanno visti coinvolti, con le conseguenti rivelazioni di un sistema dell'apparenza, che si autocompiace e riproduce come un Moloch, cui non siamo più in grado di sfuggire.
Gandini offre uno sguardo estraneo ed esterno su una realtà che suscita sempre più interesse all'estero e fornisce a chi non ci conosce un quadro generale del sistema televisivo, e per certi versi, di una certa cultura e pensiero che Berlusconi ha avuto la capacità di risvegliare a suo tempo e diffondere attraverso l'etere, con le conseguenze che ben conosciamo.
Il film tende però, secondo uno spettatore italiano a rimanere spesso in superficie e a rischiare una certa discontinuità narrativa, che non aiuta a comprendere fino in fondo le intenzioni dell'autore o a lasciare l'impressione che non sia riuscito completamente ad approfondirle come avrebbe dovuto e potuto.
Rimane in ogni caso un senso di agghiacciante terrore e disgusto per certe aberrazioni umane del mondo esterno che aspira ad entrare nella scatola magica per poter emergere e trionfare, come il ragazzo di provincia assurto ad archetipo di una volontà ferrea di conquista del quarto d'ora di celebrità warholiano, che nel suo caso specifico più che disgustare provoca compassione e dispiacere, sensazione che il più delle volte non traspare dal tubo catodico nell'assistere a certe prestazioni "artistiche", che solitamente ingenerano senso di vergogna in chi le guarda, imbarazzandosi per chi si presta a tali esibizioni.
Niente di nuovo per quanto riguarda Lele Mora o Corona, seppur la spontaneità e sincerità da loro dimostrata conferma impressioni e intuizioni che finora erano risultate evidenti dalle inchieste che li hanno visti coinvolti, con le conseguenti rivelazioni di un sistema dell'apparenza, che si autocompiace e riproduce come un Moloch, cui non siamo più in grado di sfuggire.
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