14/11/09

Città amara - Fat City

Giustamente in molti hanno visto in questo racconto per immagini una trasposizione delle pagine di Hemingway, nel narrare un'America proletaria amara, come il titolo italiano intende evocare, nonostante quello originale richiami con la sua idea di opulenza, un'aspirazione inarrivabile per i suoi protagonisti.
Due storie di uomini che all'inizio s'incontrano, si perdono di vista e poi si ritrovano sino ad un nuovo cambio di prospettiva e alla resa dei conti con la vita stessa, con le sue sconfitte e apparenti vittorie temporanee.
Huston firma un'opera che sa fotografare con il giusto sguardo e ritmo esistenze ai margini, senza essere indulgente con esse, restituendoci interni sordidi e bar in cui ciondolare per poi farci assaporare anche lo squallore dei ring amatoriali e le aspirazioni deluse dei suoi giovani pugili, sino all'apparente riscatto per uno dei suoi protagonisti, anche se Huston insinua il vero motivo della vittoria e getta uno sguardo anche sull'organizzazione di certi tipi d'incontro.
C'è rimpianto e amarezza in questo suo film, mai compiaciuto o nostalgico, perché egli adotta una asciuttezza descrittiva nell'esprimere quel senso di sconfitta che alcuni individui si portano dentro ad oltranza e che niente pare riuscire a distogliere dalla loro anima.
Allora non resta che aspettare che un buon amico riemerga dal passato per prenderti ancora una volta per mano e accompagnarti, anche se per breve tempo, a consumare un caffè e tenerti compagnia per quel breve lasso di tempo che vi resta in una notte cittadina, memori di una vita che non si è mai riusciti a rendere migliore, forse per propria indolenza.

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