03/11/09

La battaglia dei tre regni

Anche John Woo pare essersi adeguato al gusto imperante di un cinema orientale sempre più ripiegato sul passato e all'apparente recupero del genere cappa e spada in voga negli ultimi anni, ma a suo modo vira il discorso verso una narrazione più attenta all'epica e al confronto umano tra i suoi protagonisti, in cui le scene d'azione sono meno frenetiche o coregorafiche di quelle viste nei film di Zhang Yimou o Ang Lee.
Il regista di Honk Kong recupera un evento storico per rappresentarne le dinamiche belliche e strategiche e ribadire tematiche a lui care come il rispetto, l'onore e l'amicizia virile, il tutto però ormai annacquato da una retorica che emerge con sempre più evidenza, lasciando nel suo passato di cineasta la frenesia che ne aveva caratterizzato lo stile, per essere poi trasferito con esiti alterni in terra americana.
Effettivamente negli ultimi tempi si era avvertito un rallentamento narrativo da parte del regista, che pare aver consumato la propria inventiva in opere come Face/Off e Mission Impossible 2, in cui era possibile ravvisare gli elementi più caratteristici della sua regia, che ne avevano decretato il successo tra i cinefili amanti del suo cinema ipercinetico, ma denso di contenuti o almeno così sembrava.
Ora tutto appare conforme ad un classicismo che sa di maniera, privo della profondità di quel cinema d'oriente che ne aveva a suo tempo decretato la fortuna, adesso ridottosi ad uno sguardo rivolto ad un passato da risaltare in favore della Cina che tenta di affermare le proprie radici pur rivolgendosi all'occidente, e lo dimostra anche il fatto che il film nella sua versione originale è diviso in due parti, mentre per noi occidentali è fruibile in una versione concentrata, apparentemente più appetibile, che scorre via senza particolari sussulti ed emozioni e che ci fa rimpiangere gli afflati dinamici di quel cinema d'azione e d'autore che a suo tempo ci aveva portato ad invidiarne la capacità di realizzazione e scrittura.

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