29/03/10

Happy Family

Nonostante il richiamo del titolo, stile commedia americana, possa ricordare sarcasticamente un contesto familiare, quale quello italiano sempre in crisi di affetti e di comprensioni verso i figli adolescenti, abusato e strausato da autori nostrani con esiti negli ultimi anni decisamente discutibili, per fortuna Salvatores smentisce eventuali aspettative negative o facili stereotipi mucciniani, riuscendo a creare un prodotto che nonostante la sua origine teatrale, riesce ad essere una sorta di boccata d'aria fresca e leggera che, seppur nel suo meccanismo scoperto di rottura della quarta parete, risulta gradevole con lo scorrere del tempo e della storia, in cui dimostra di non nascondersi dietro a un dito e denuncia apertamente la propria ispirazione pirandelliana, strappando una risata divertita allo spettatore cosciente dell'espediente narrativo.
Salvatores sente l'esigenza di volersi allontanare dalla cupezza del suo ultimo lavoro per tornare nell'amata/odiata Milano, aiutandoci a viverla, anche nei suoi angoli più noti, attraverso un percorso ciclistico inusuale per una città nient'affatto a misura di ciclista, durante un'estate che corrisponde ad una apparente desertificazione di idee e sentimenti per il suo protagonista, ma il tutto con spirito leggiadro.
La scelta di raccontare una presunta vicenda di due famiglie a confronto, con il progressivo ingresso all'interno della stessa per il nostro aspirante autore, diviene un meccanismo che presto si fluidifica, perdendo la sua meccanicità troppo scoperta ed evidente che rischierebbe di renderlo troppo calcolato e farraginoso, per consentire al suo protagonista di affrontare forse quella realtà sinora rifuggita e legata come un novello Kaiser Soze dei sentimenti a dettagli del suo mondo chiuso e autoconcluso del suo studio di lavoro, che gli consentono di ricostruire un'idea di sogno e di amore che trova il suo culmine nel notturno chopiniano, in cui Salvatores dichiara il suo amore per la sua città per lasciare poi al finale aperto, come scelta preferita dal suo autore/attore, la possibilità di trasformare le storie raccontate o meglio la speranza di un amore in qualcosa di concreto, perché la vita seppur senza una trama, prima o poi deve essere vissuta.

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