30/04/10

Departures

La retorica della morte è sempre in agguato anche nelle culture più sensibili e attente all'estetica di un evento così triste e inevitabile e seppur il film sia stato molto lodato e apprezzato, non mi è stato possibile non avvertire una certa ripetitività e scontatezza negli esiti di un racconto curioso e agli inizi anche affascinante, in cui si inserivano progressivamente elementi anche divertenti, atti a sdrammatizzare il peso di una storia che affronta l'ultima tappa dell'esistenza.
Affascina inizialmente il rituale di preparazione dei corpi prima della sepoltura, con spunti ironici che aiutano ad alleggerire il peso del dolore e del dramma, laddove altrove è poeticamente descritto ed esibito con la giusta misura e rispetto, ma con il passare del tempo il regista tende a creare una certa reiterazione narrativa che sfocia in immagini, come quella della locandina, che nel loro essere fuori contesto e forzatamente poetiche, risultano retoriche sino alla profusione di discorsi banalmente leziosi sul passaggio finale della vita e sul rapporto conflittuale e luttuoso negli affetti del protagonista con il padre scomparso.
Altro aspetto che non agevola la visione è il vizio persistente del doppiaggio italiano nel voler impiegare voci spesso abituate a doppiare personaggi degli anime, restituendo un effetto cartoonesco e fasitidioso ad alcuni protagonisti, come la moglie del tanatoesteta, mentre un personaggio interessante come il titolare dell'agenzia di preparazione delle salme, finisce anch'esso nell'essere risucchiato da cliché retorici sulla sua scelta di voler intraprendere un tipo di attività, che nella società giapponese viene vista come sconveniente e immonda.
Un taglio alla durata del racconto avrebbe sicuramente permesso al regista di non cadere nella leziosità stancante della parte restante del film, regalandoci un'opera sicuramente più interessante e riuscita di quanto la critica abbia voluto farci credere.

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