20/10/10

A tempo pieno

A tempo pieno, un titolo che non riesce a trasmettere ancora una volta la sottile amara ambiguità del suo originale, ma per fortuna il film di suo vi riesce perfettamente, costruendo una progressiva, costante e quasi insopportabile angoscia per il suo protagonista, un uomo dedito alla menzogna verso i propri familiari e amici, per non rivelare la sua mancanza di lavoro.
Vincent (Aurélien Recoing) è un professionista sicuramente abile e preparato e non si comprende inizialmente il perché del suo vagare senza meta lungo le autostrade e gli autogrill francesi, telefonando alla propria consorte per raccontargli giornate fatte di incontri con clienti mai visti, sparsi per il territorio, come se nulla fosse, come se la sua vita domestica dovesse proseguire senza intoppi, senza sbavature, per non sentire il peso della responsabilità, della colpa, di un fallimento che la società in ogni caso ti riconosce nel momenti in cui non hai più un lavoro, perché sei identificato per ciò che professi e rappresenti secondo una precisa scala sociale e impiegatizia.
Così con il passare del tempo Vincent, convinto di essere libero, di potersi muovere svincolato da tutto e da tutti, tra le proprie menzogne e il poter fare felicemente ritorno a casa dalla sua famiglia ogni fine settimana, lentamente si ritrova a dover fare i conti con le proprie reticenze, con i propri segreti ben celati a tutti, perché è la famiglia stessa a costringerlo in buona fede o meno a porsi di fronte ad una realtà che sembra non voler vedere o a cui non può sfuggire, come l'amaro finale di apparente riappacificazione con la propria vita e le proprie aspirazioni che sembra prospettarsi allo spettatore.
Laurent Cantet è regista che dimostra sempre un interesse e uno sguardo non comuni nell'analizzare e scardinare aspetti della nostra società, spesso legati ad un tema fondamentale come il lavoro, realizzando un'opera incapace di invecchiare, in grado di essere costantemente attuale, atta a colpire al cuore e allo stomaco attraverso la raffigurazione di quello che è il senso e l'importanza del lavoro per tutti noi e la necessità primigenia che esso riveste, sino a diventare il generatore di un meccanismo sociale che pare ingabbiarci inesorabilmente e da cui Vincent vorrebbe divincolarsi, ma la presa di coscienza sarà durissima per lui al punto da temere per una tragedia finale, ma i silenzi, le reticenze, l'interpretazione, tutti elementi tipici del cinema francese, elaborati in maniera eccelsa da Cantet, dimostrano come l'ispirazione da un fatto di cronaca con esiti nefasti nella realtà, possa diventare nelle mani di un autore, come il suddetto, una parabola universale dei nostri tempi e di ogni tempo in cui noi si possa vivere e sperare di lavorare.

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