04/02/11

Qualunquemente

Prodotto decisamente anomalo questo nuovo film con Antonio Albanese. Difficilmente inquadrabile ed incasellabile per gli amanti della definizione netta e precisa dei generi, quale necessità di comprensione e presa di coscienza rasserenante di ciò che non si conosce e che appare essere una certa cosa per poi apparire diversamente da ciò che si era pensato, insomma, qualunquemente, come l'avverbio stesso che dà titolo al film pare ricordarci.
L'opera di Manfredonia, ma per i più di Antonio Albanese stesso, è  un tutto e un niente narrativo, prodotto comico che tanto comico non è, film apparentemente di denuncia, ma non così tale per la scelta di registro attuata dall'autore e dall'attore, oggetto visivamente forse attuale, ma al tempo stesso fuori tempo perché superato probabilmente dalla realtà che intende rappresentare, con quella vena grottesca, parodistica e a tratti ingenuamente, si potrebbe dire, macchiettista.
Film spiazzante, forse, a tratti agghiacciante per come rappresenta un uomo che dell'uso di metodi intimidatori non fa mistero e anzi palesa smaccatamente, mostrando in chiave parossistica e tragicomica situazioni di appartenenza che ben conosciamo e che nel dibattito televisivo e letterario nazionale sono assurte a contrasto addirittura politico e intellettuale, soprattutto quando si richiama alla mente Gomorra e il suo autore nonché tutto ciò che da esso ne è derivato, seppur questa sia ben altra storia e regione, ma intanto tutto è riconducibile ad un unico elemento magmatico di riflessione e/o derisione, nel bene e nel male del pressapochismo in cui spesso si ricade.
Il film è stato selezionato dal Festival di Berlino e viene lecito domandarsi, quanto il pubblico internazionale sarà in grado di percepire di questo prodotto, che un fondo di amarezza ce l'ha, nonostante l'apparente veste comica, nonostante il personaggio creato da Albanese sia divenuto esso stesso un'icona pop del male e dei malesseri nostrani, sorta di figura esasperata ed esasperante, capro espiatorio o figura apotropaica cui rivolgerci per scacciare dalla nostra mente l'idea che si possa arrivare ad essere così tanto meschini e mediocri. Forse alla fine rimarrà la solita immagine stereotipata del nostro paese, riaggiornata alle vicende e alle figure politiche dei nostri ultimi tempi, almeno per le loro modalità di manifestazione di certi usi e costumi.
Eppure come lo stesso Albanese ha dichiarato nel suo comizio elettorale nella trasmissione di Fazio e Saviano Vieni via con me, "noi siamo la fiction e lui è la realtà". Ormai, noi stessi siamo effettivamente immersi in un immaginario di cui siamo parte integrante e ciò che produciamo e fantastichiamo, attraverso la scrittura o l'invenzione comica, è sempre più destinato a divenire reale e a sopraffarci.
Questo film è ingannevolmente comico, in grado di catturare un ampio pubblico affascinato dalla figura di Cetto La Qualunque, ma quanto effettivamente consapevole di ciò che rappresenta e ci rappresenta con quell'uso smodato degli avverbi?
Albanese/Cetto ammicca con il suo manifesto elettorale, in realtà locandina cinematografica, che racchiude messaggi politici precisi, seppur paradossali, che sono in bilico tra quella realtà e finzione di cui si diceva sopra e che rendono l'operazione alla fine difficilmente valutabile e che solo il tempo saprà dirci se in grado di rappresentare effettivamente uno spaccato o un ritratto ben definito del nostro tempo o di ogni tempo, ma forse, mi azzardo a dire, non così forte da imprimersi nel nostro immaginario, perché ciò che effettivamente potrà rimanere nelle nostre menti sarà il personaggio stesso e non la storia di per se stessa, perché funzionale e tangente all'icona di Cetto La Qualunque, che vive di vita propria, al di fuori e soprattutto senza il film stesso in cui la si vorrebbe circoncludere.

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