14/10/11

La pelle che abito

E' una questione di formalità o più semplicemente di forma con poca sostanza il nuovo film di Pedro Almodòvar, perché se già Gli abbracci spezzati mostrava una piega autoriflessiva e autocompiacente del e verso il proprio cinema, in questo caso il tema trattato, nella sua affascinante morbosità, diviene nelle mani del nostro amato un racconto tedioso, in cui la scelta di una non linearità, che in caso contrario forse avrebbe giovato maggiormente al film, non aiuta ad appassionarsi al tema trattato.
Almodòvar è come se avesse deciso di raggelare e raffreddare ogni istinto ribelle, nonostante un'apparenza, un accenno buttato lì ad un certo punto del racconto, per poi ripiegare su un dramma che sembra meno melò del solito e molto duro, quasi aspro nel suo voler rappresentare un dolore e una vendetta che hanno un seguito quasi scontato nel finale della vicenda.
Ancora una volta, come nel precedente suo lavoro, le agnizioni, i confronti al femminile, si dimostrano inefficaci nel dare forza al racconto che molto avrebbe e ha da dire per tutte le tematiche che vengono messe in gioco, ai ribaltamenti e alle pulsioni erotiche che il tema propone, grazie alla sua protagonista, oggetto da ammirare e spiare, come il cinema stesso c'insegna, ma il tutto si rivela troppo scopertamente cerebrale e la noia avanza, almeno per chi scrive.
Altri hanno ritrovato in questo lavoro del maestro spagnolo la dimostrazione della sua bravura, della sua capacità di affrontare tematiche affascinanti ed inquietanti, in cui le letture psicanalitiche si potrebbero sprecare, ma questa volta tutto ciò non è sufficiente ad appassionare, chi il cinema di Almodòvar sino ai tempi di Volver l'ha amato e apprezzato.

Nessun commento: