06/12/11

Il mio domani

Il cinema di Marina Spada viene immancabilmente accostato e rinviato a quello di Antonioni per le scelte stilistiche e per il suo sguardo rivolto allo spazio urbano, quale elemento profilmico che abbraccia le sue protagoniste femminili, donne solitarie che intrecciano relazioni spesso deludenti con uomini insignificanti e immaturi nel loro svelare progressivamente i propri limiti affettivi e comportamentali.
Marina Spada forse avvertirà con un certo fastidio l'accostamento al maestro ferrarese, spesso indicato come referente alto, ma con valenza negativa, come una sorta di richiamo nostalgico, mancante di originalità e di respiro. Eppure, il suo cinema evita, attraverso atmosfere semplici e dialoghi essenziali, di propinarci confronti dialettici e situazioni che spesso nel cinema nostrano appaiono come macchiette risibili, cercando di tratteggiare ritratti femminili non banali, come quello della donna manager interpretata da una Claudia Gerini asciugata nel trucco, finalmente non vistoso, non volgare, da cui scaturisce una limpidezza di sguardo verso le architetture in mutazione della propria città, che rimandano ai cantieri del godardiano Due o tre cose che so di lei. Perché in fondo Marina Spada ci racconta una trasformazione urbana, quella dell'Expo, non priva di implicazioni sociali ed urbane che non possono rievocare quelle del film del maestro francese e lo sguardo della regista è anche quello del suo amico e collaboratore Gabriele Basilico, noto per i suoi studi fotografici sull'architettura di varie città del mondo.
Forse questo film rispetto al precedente Come l'ombra, anch'esso ispirato ad una poesia, non sembra aggiungere nulla di nuovo alla sua scrittura filmica e il personaggio di Monica appare come una sorella della precedente protagonista, immersa in un'esistenza similare, che pare questa volta aprirsi a spazi extraurbani, vissuti in maniera conflittuale e sottotraccia sino a quella fuga, a quel viaggio, che questa volta trova una sua precisa concretizzazione geografica. Lo sguardo della regista risulta comunque interessante nel tratteggiare in maniera non banale il panorama urbano in cui muove le sue protagoniste, accentuandone quel senso di solitudine e smarrimento che porta a rievocare il fantasma di Antonioni in maniera più o meno giustificata, seppur questa volta sembri ripetersi nei meccanismi di sviluppo e narrazione, quasi i due film rappresentassero i capitoli di un romanzo sociale in divenire, frutto di una poetica che questa volta non appare incisiva come nel precedente episodio, rischiando di avvitarsi su se stessa, nonostante gli spunti e le intenzioni siano apprezzabili, come la recitazione efficace della sua protagonista, donna smarrita che deve creare un vuoto per poter ricominciare, come da lei stessa insegnato ai manager durante i suoi corsi di formazione e che come tutti i percorsi di cambiamento ha alcuni ostacoli da affrontare e smagliature da eliminare, attraverso una riflessione di sguardo che va oltre la percezione del mondo che ci circonda.

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