Corbijn passa alla regia del lungometraggio come altri suoi colleghi registi di videoclip e opta per il b/n, cromia a lui usuale e congeniale già in ambito fotografico, realizzando un film in cui ogni inquadratura costituisce una perfetta cornice in cui inserire il suo protagonista e l'ambiente di provincia in cui è vissuto, raccontandoci la nascita di un mito musicale con toni dimessi, asciutti nient'affatto compiacenti nei confronti dei suoi personaggi e di Curtis stesso, figura intensa e fragile, sino alla sua tragica fine, presagita da un flashforward inserito in una delle sequenze più significative del film.
Il regista ci descrive i tormenti interiori del cantante senza per questo restituirci un quadro agiografico o eccessivamente demitizzato dello stesso, seppur gli altri membri sembrino apparire meno consistenti rispetto a Curtis, su cui concentra la propria attenzione descrivendone i tormenti e le incapacità affettive, caricato da un senso di responsabilità e da una depressione che trasuda dalle immagini polite del film e che ci rivela un attore, Sam Riley, in grado di incarnare fisicamente il defunto leader dei Joy Division.
Corbjin ricostruisce così un periodo significativo della musica inglese di quel tempo, pronta a spiccare il volo oltreoceano, mostrandoci l'alternanza dei momenti live in cui Riley canta personalmente i brani del gruppo e riproduce gli scatti e le crisi epilettiche del suo personaggio, con quelli intimi, chiusi in ambiti geometrici precisi in cui si appalesa la cura compositiva del regista, che dimostra di avere tutto ben sotto controllo, forse troppo, ma rimane comunque la sensazione di un film esemplare nel raccontare una vita tormentata, senza scadere nel banale.
Il regista ci descrive i tormenti interiori del cantante senza per questo restituirci un quadro agiografico o eccessivamente demitizzato dello stesso, seppur gli altri membri sembrino apparire meno consistenti rispetto a Curtis, su cui concentra la propria attenzione descrivendone i tormenti e le incapacità affettive, caricato da un senso di responsabilità e da una depressione che trasuda dalle immagini polite del film e che ci rivela un attore, Sam Riley, in grado di incarnare fisicamente il defunto leader dei Joy Division.
Corbjin ricostruisce così un periodo significativo della musica inglese di quel tempo, pronta a spiccare il volo oltreoceano, mostrandoci l'alternanza dei momenti live in cui Riley canta personalmente i brani del gruppo e riproduce gli scatti e le crisi epilettiche del suo personaggio, con quelli intimi, chiusi in ambiti geometrici precisi in cui si appalesa la cura compositiva del regista, che dimostra di avere tutto ben sotto controllo, forse troppo, ma rimane comunque la sensazione di un film esemplare nel raccontare una vita tormentata, senza scadere nel banale.
2 commenti:
non per essere impicciona, ma tutti questi film dove vai a vederli? ai vari Cinelandia della mia zona più che i soliti pluri pubblicizzati film non danno.... :(
non sei affatto impicciona... :)
li vedo proprio in quei cinema che ancora resistono nonostante i cinelandia o catene affini quali supermercati del cinema che ti propinano la solita pappa pronta cinematografica... ;)
anche andare al cinema e vedere film di qualità è ormai un atto di resistenza :D ;)
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