Film felicemente ed incommensurabilmente anarchico, una sorta di opera à la Kaurismaki, ma più dialogato, in cui le situazioni e i personaggi in esso rappresentati paiono essere usciti da una delle sue pellicole più sagaci e anticonvenzionali.
Detto questo, chi non ama Kaurismaki non si allontani preventivamente da questo film, che costituisce in ogni caso un'intelligentissima ed arguta riflessione sulla nostra contemporaneità e sul mondo del lavoro in chiave grottesca.
I corpi stessi dei protagonisti rappresentano elementi sgradevoli alla vista, ma in fondo amabili nel loro infantilismo regressivo e mai divenuto veramente adulto, che s'inseriscono prepotentemente nel campo visivo della m.d.p. quale prima forma di ribellione ad un'estetica sempiternamente piacevole e gradevole, ma senza per questo trascendere nel paradosso ricattatorio del brutto a tutti i costi quindi migliore, perché è la bruttezza interiore di un mondo impazzito e sconclusionato ad emergere dal racconto, in cui si ride seppur amaramente.
La stessa identità sessuale costituisce esempio della trasmutazione che la nostra stessa natura biologica ci consente di attuare, al fine di adattarci a logiche indipendenti dalla nostra volontà, e che viene sagacemente chiosata da una delle battute finali del film, che ha un suo ulteriore sviluppo nei titoli di coda da cui si apprende una critica ulteriore ad un sistema, quello delle scatole cinesi tanto amate dalle multinazionali moderne, che costituisce una parcellizzazione non solo del lavoro, ma anche delle responsabilità e di coloro che se ne dovrebbero assumere il carico morale ed economico.
La scelta del nome stesso dei protagonisti, oltre a voler richiamare un'anarchica dell'800, non è casuale neppure nella sua struttura a chiasmo proposta nella locandina, a voler rimarcare ulteriormente la confusione/scambio d'identità iconografica, ma anche la transizione sessuale cui il nostro corpo contemporaneo pare essersi ormai abituato e di cui Baudrillard aveva già proposto un'analisi accurata nei suoi saggi sulla nostra contemporaneità postmoderna.
Un film che ha anticipato alcune tendenze reattive del popolo dei lavoratori nei confronti dei propri manager e capitani d'industria ricoperti d'oro, e che ha costituito un caso cinematografico e sociale, ma che rischia nel nostro paese di essere disinnescato dalla solita miopia e torpore delle nostre coscienze, incapaci ormai di reagire anche solo civilmente attraverso un cinema non più, a quanto pare, in grado di offrire letture così autentiche e salaci della nostra realtà lavorativa e sociale, se non per casi isolati e purtroppo invisibili.
1 commento:
Ora mi hai fatto incuriosire... Devo assolutamente riuscire a vederlo!
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