24/03/10

Donne senza uomini

Film d'esordio per la regista Shirin Neshat, videoartista dissidente che ha trasposto per immagini un discusso romanzo, per ovvii motivi politici, della scrittrice Shahrnush Parsipur, vincitore del Leone d'Argento a Venezia per la migliore regia.
Ebbene, devo dire che il film mi ha lasciato qualche perplessità proprio per quel formalismo che ne ha forse decretato la conquista di questo premio. Un merito che sento di dover attribuire a quest'opera è sicuramente la capacità di riuscire a parlare del presente e, senza per questo adottare uno sguardo eccessivamente asciutto che col tempo è divenuto maniera di una certa parte del cinema iraniano contemporaneo, nel raccontare la condizione delle donne e del loro paese. Effettivamente si avverte una presa di distanza dal neorealismo di certo cinema iraniano, ma senza alcuna volontà polemica da parte della regista, che si pone a sostegno proprio di quegli artisti rappresentativi di quella corrente, che sono impediti dall'attuale regime nel poter espatriare per presentare le proprie opere o di esprimere la loro opinione attraverso la propria arte.
Ciò che difetta in questo film, che nelle circolarità, come il film di Panahi, trova la sua chiave di lettura e punto critico come viziosità della storia e della condizione femminile, è l'eccedente formalismo surreale, che nel suo tentativo di proporre un discorso elegiaco, rischia di diventare decisamente affettato nella sua allegoria, pur facendoci comprendere un disagio evidente, senza per questo insistere coi silenzi tipici del cinema d'autore, ma lasciando che siano le immagini con i loro simboli a parlare allo spettatore in maniera preponderante.
Mi rimane l'impressione di un film forse sopravvalutato, premiato più per le intenzioni che per la resa stilistica, la cui regista sicuramente dovrà e potrà trovare un suo equilibrio, senza per questo cadere nelle trappole della stucchevolezza, e questo lo dico soprattutto per coloro che come la Neshat intendono sostenere la propria causa contro le oppressioni di un paese che non accetta il dialogo e il confronto.
Pertanto, suggerirei di ricercare in altre opere come Persepolis, spunti di riflessione più agili e resi in maniera spigliata in merito all'Iran e alla difficile condizione femminile, rispetto ad un'opera che rischia di essere vittima della sua stessa arte.

2 commenti:

seaborg ha detto...

perfettamente d'accordo con te.
Inoltre la scelta di girare in marocco con comparse marocchine non fa che aiutare la percezione sbagliata che Iraniani e Arabi siano la stessa cosa. Shirin Neshat e' un'artista completamente americana nel modo di approcciarsi a culture diverse, che nelle sue mani diventano esotiche e non reali.
Un'occasione mancata.

Pereira ha detto...

con il rischio di dimostrarsi decisamente poco attenta e partecipe ai problemi del suo paese d'origine...