Un film assolutamente anomalo, alieno al panorama commerciale del cinema e come tale destinato all'invisibilità, all'impossibilità di fruizione se non piratata, furtiva e limitata nel suo supporto, poiché esso è stato pensato per il cinema in sé e lì andrebbe fruito per comprenderne appieno il fascino disturbante nel suo minimalismo, come la partitura musicale di Arvo Pärt ci dimostra, dispiegandosi lungo l'arco del racconto.
La sequenza iniziale stessa, immaginifica proiezione di viaggio, in cui lo sguardo è volto all'inseguimento di un'auto che percorre una strada verso un dove imprecisato, ignoto, sulle note di Spiegel im Spiegel, in cui la m.d.p. cadenza i suoi movimenti e i suoi spazi all'interno dei piani sequenza con cui ci rammostra il percorso automobilistico dei due protagonisti, rappresenta una delle sequenze più belle e significative del cinema contemporaneo e ai più sconosciuta.
Una storia semplice, lineare, che spiazza per la sua icasticità tanto da divenire racconto esistenziale, si potrebbe dire quasi beckettiano, stante il fatto che presumiamo chi dei due protagonisti sia "Gerry" (Matt Damon), ma dell'altro ragazzo (Casey Affleck) non ci è dato sapere come si chiami, scelta simbolica da parte dei tre autori della sceneggiatura (Damon, Affleck e Van Sant), sappiamo solo che sono amici, che hanno deciso di intraprendere, un po' sprovvedutamente un percorso escursionistico in cui si perdono inevitabilmente, ritrovandosi a vagare a vuoto alla ricerca di un punto di riferimento, la strada, verso cui fare ritorno e salvarsi.
Film che fruisce dello spazio e della natura in maniera totale e funzionale al racconto stesso, al punto tale da acuire il senso di smarrimento dei suoi protagonisti, realizzando una storia che si pone al di là dello spazio e quasi del tempo, in cui sorge il sospetto che forse sia un sogno o un miraggio desertico e in fondo permane in parte quel dubbio, forse perché l'amarezza del finale porta lo spettatore a sperare che tutto ciò non sia frutto del reale, che vi sia una speranza, insita nella nostra natura di individui coscienti.
Così al termine della visione non rimane che perdersi con lo sguardo sulle note minimali del pianoforte di Arvo Pärt, attraverso paesaggi da cui lasciarsi cullare dolcemente smarriti e colpevoli per quel senso di ineluttabilità che questa visione ci ha lasciato, se mai essa sarà possibile o desiderabile.
La sequenza iniziale stessa, immaginifica proiezione di viaggio, in cui lo sguardo è volto all'inseguimento di un'auto che percorre una strada verso un dove imprecisato, ignoto, sulle note di Spiegel im Spiegel, in cui la m.d.p. cadenza i suoi movimenti e i suoi spazi all'interno dei piani sequenza con cui ci rammostra il percorso automobilistico dei due protagonisti, rappresenta una delle sequenze più belle e significative del cinema contemporaneo e ai più sconosciuta.
Una storia semplice, lineare, che spiazza per la sua icasticità tanto da divenire racconto esistenziale, si potrebbe dire quasi beckettiano, stante il fatto che presumiamo chi dei due protagonisti sia "Gerry" (Matt Damon), ma dell'altro ragazzo (Casey Affleck) non ci è dato sapere come si chiami, scelta simbolica da parte dei tre autori della sceneggiatura (Damon, Affleck e Van Sant), sappiamo solo che sono amici, che hanno deciso di intraprendere, un po' sprovvedutamente un percorso escursionistico in cui si perdono inevitabilmente, ritrovandosi a vagare a vuoto alla ricerca di un punto di riferimento, la strada, verso cui fare ritorno e salvarsi.
Film che fruisce dello spazio e della natura in maniera totale e funzionale al racconto stesso, al punto tale da acuire il senso di smarrimento dei suoi protagonisti, realizzando una storia che si pone al di là dello spazio e quasi del tempo, in cui sorge il sospetto che forse sia un sogno o un miraggio desertico e in fondo permane in parte quel dubbio, forse perché l'amarezza del finale porta lo spettatore a sperare che tutto ciò non sia frutto del reale, che vi sia una speranza, insita nella nostra natura di individui coscienti.
Così al termine della visione non rimane che perdersi con lo sguardo sulle note minimali del pianoforte di Arvo Pärt, attraverso paesaggi da cui lasciarsi cullare dolcemente smarriti e colpevoli per quel senso di ineluttabilità che questa visione ci ha lasciato, se mai essa sarà possibile o desiderabile.
2 commenti:
Grazie Pereira,
sono venuto a conoscenza di qst film solo attraverso il tuo blog.
Vidi una volta, quasi per caso My Own Private Idaho e rimasi scioccato dalla sequenza iniziale. Il resto del film si perse nella mia mente,ma quella sequeza riaffiorava ogni tanto, cruda e bella.
Gerry ritorna al detour di 2 giovani amici. Letteralmente privati di ogni backround sociale.
Non c'e' shakespeare a tessere la sceneggiatura. Anzi non c'e' proprio la sceneggiatura, a parte un bizzarro racconto di un re thebano.
Come hai giustamente sottolineato, questo film ha una natura contraddittoria. fruibile a pieno solo sul grande schermo, destinato ad essere visto su uno computer.
Esistenzialista, Beckettiano, magico.
mi fa piacere sapere di aver solleticato la tua curiosità visiva... :-)
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